Comunicato Stampa n.3 del 22 maggio 2023 

Più di sei milioni di vittime innocenti. Di bambini nella fase più fragile della loro vita. Sei milioni di esistenze umane smembrate, dissolte ed annientate, buttate nei rifiuti pericolosi ospedalieri o, come accade con l’aborto chimico (RU486), anche nei WC delle proprie case. 

45 anni di disprezzo della vita umana più nobile, perché più meritevole di cure ed attenzioni, eppure più povera ed indifesa. 

45 anni di violenza spietata verso gli esseri umani più preziosi perché veri depositari del nostro futuro personale e sociale. 

45 anni di menzogne legittimate e potenziate dal potere mediatico nazionale ed internazionale tanto da indurre le nuove generazioni a considerare l’aborto volontario un nuovo “diritto umano”. Un altro gravissimo esito culturale di quella legge 194 che ha ucciso le coscienze e ancora le inganna facendo assurgere la scelta abortiva ad atto di libertà e di autodeterminazione. Tanto da mettere in discussione il diritto alla obiezione di coscienzada parte del personale sanitario, prevista dalla stessa legge. 

45 anni di inganni e di reticenze sulle gravi conseguenze psico-fisiche dell’aborto volontario, di cui i redattori del “documento” per l’IVG (Interruzione Volontaria della Gravidanza) non informano le donne, come invece dovrebbero per un legittimo “consenso informato”. Donne che scontano per lunghi anni queste conseguenze, senza un supporto adeguato da parte degli stessi Servizi che hanno certificato la loro decisione. 

45 anni di connivenza della Medicina e della Ginecologia corporativa nazionale ed internazionale con i grandi poteri economici ed ideologici che misconoscono intenzionalmente l’inizio della vita umana dal concepimento, tanto da approvare e raccomandare l’utilizzo, anche gratuito, di sostanze ormonali in pillole con prevalente (pillole post-coitali del “giorno e dei 5 giorni dopo”) o possibile effetto abortivo precoce (pillole estro-progestiniche, o solo progestiniche), determinando un numero di “criptoaborti” o aborti “nascosti” molto superiore a quello registrato secondo la legge 194. 

La coscienza formata alla verità scientifica ed etica sulla vita umana concepita, quale quella dei Ginecologi ed Ostetrici Cattolici, non può non denunciare una simile ingiustizia che perdura immutata da 45 anni. La più grave delle ingiustizie contro una moltitudine di esseri umani innocenti ed indifesi. 

La dignità di questi nostri piccoli fratelli e sorelle non nati merita il nostro rispetto e tutto il nostro impegno professionale affinché venga debitamente riconosciuta, in quanto esseri appartenenti alla specie umana e, come tali, soggetti di diritto. Primo fra tutti, dal quale tutti gli altri derivano, quello alla vita 

COMUNICATO STAMPA n. 2

L’Associazione Italiana dei Ginecologi ed Ostetrici Cattolici (A.I.G.O.C.) aderisce alla Manifestazione Nazionale per la Vita del 20 maggio a Roma

L’A.I.G.O.C. annuncia la propria adesione alla Manifestazione Nazionale “Scegliamo la Vita” che si svolgerà il prossimo sabato 20 maggio a Roma.

La Manifestazione “Scegliamo la Vita” intende riaffermare il valore assoluto e intangibile della vita umana dal concepimento alla morte naturale, con particolare riguardo a quelle condizioni esistenziali rese più fragili e critiche da particolari condizioni di disagio sociale e di malattia o disabilità psicofisica.

Insieme alle oltre 100 realtà che hanno già aderito alla Manifestazione “Scegliamo la Vita”, I’A.I.G.O.C. chiede alle istituzioni dello Stato, alle amministrazioni locali, ai partiti, alle imprese private e a tutti gli enti sociali di collaborare per rendere l’Italia una Nazione in cui la vita umana, in ogni sua manifestazione, sia, sempre più, accolta, promossa e tutelata.

Nelle regioni italiane in cui i contraccettivi sono stati dispensati gratuitamente e nelle nazioni del mondo dove l’utilizzo dei contraccettivi è stato favorito, i tassi di interruzione delle gravidanze indesiderate non sono diminuiti, anzi la contraccezione e il numero di aborti sono aumentati in modo simultaneo. La contraccezione gratuita in Italia apporterà un beneficio per la salute delle donne?

Comunicato Stampa n.1 del 25 aprile 2023

La notizia data in un’intervista al Quotidiano Sanità dalla presidente del Comitato Prezzi e Rimborsi (CPR) dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa), a pochi mesi dalla scadenza del suo incarico quinquennale ci lascia molto perplessi per il momento scelto e per la precisazione fatta da QS, che “Il ministero della Sanità, tuttavia, essendo l’Aifa un organismo indipendente, non avrà possibilità di intervenire sulla decisione.

Entrando nel merito della reale utilità di questo provvedimento per ridurre concretamente il numero di aborti volontari ex legge 194/1978, i dati offerti dalla stessa Aifa nella pubblicazione “L’Uso dei Farmaci Rapporto Nazionale anno 2021” dimostrano chiaramente che l’uso dei contraccettivi dal 2015 è in crescita senza la necessità di gravare ulteriormente le finanze dello Stato rendendo gratuito per tutte le età i contraccettivi estroprogestinici.

La figura riportata (tratta dalla pag. 195 del citato Rapporto) ci mostra chiaramente quanto prima affermato e ci permette di valutare la spesa fatta per il 2021, infatti moltiplicando la DDD/1000 ab(donne) al giorno per il numero di donne in età fertile nel 2021(11.965.446) e per 365 giorni si ottiene la spesa reale (138,5 x 11.965.446 : 1.000 x 365 x 0,50), che ammonta a €. 302.441.604, quindi la spesa prevista di 140 milioni di euro è volutamente molto sottostimata già per quanto riguarda il 2021 e lo sarà ancor di più se il numero delle donne che ne faranno ricorso aumenterà!

Se teniamo presente che solo nella Puglia (nel 2008) e nel Piemonte (nel 2018) gli estroprogestinici sono stati dispensati gratuitamente nei consultori familiari alle donne di età <26 anni o se disoccupate (esenzione ticket E02) o colpite dalla crisi (E99) nei 24 mesi successivi ad una IVG (Interruzione Volontaria della Gravidanza) e nei 12 mesi dopo il parto, ci rendiamo conto che la riduzione nel tempo del rapporto di abortività non è legata alla dispensazione gratuita degli estroprogestinici, ma al crescente numero delle fasce di popolazione femminile di età più avanzata (35-49 anni) e quindi meno fertili.

REGIONE Anno  2019 Anno  2020 Anno  2021
PIEMONTE 7,2 6,9 6,42
EMILIA ROMAGNA 7,2 6,7 6,42
TOSCANA 7,1 6,8 6,04
LAZIO 6,2 6,2 5,28
PUGLIA 7,1 6,4 6,28
ITALIA 5.8 5,4 5,17

Tab.1: Il numero indicato è riferito al rapporto di abortività, cioè la quantità di aborti effettuati, nel triennio 2019-2021, ogni 1000 donne di età compresa fra i 15 e 49 anni nelle regioni indicate e la media nazionale.

Per questi motivi riteniamo non legato a necessità obiettivamente sanitarie il tentativo di rendere gratuito e per tutte le età (15-49 anni) a fine mandato l’uso degli estroprogestinici di cui possono trarre vantaggio solo i produttori degli stessi.

Nella vicina Francia, che fa registrare una diffusione quasi a tappeto della contraccezione  (il 91% delle donne in età fertile dichiara di usare contraccettivi) gli autori dello studio realizzato dall’INED che correla l’aborto volontario con l’uso della contraccezione (Magali Mazuy, Laurent Toulemon ed Elodie Baril) affermano “Dal 1970 la diffusione di efficaci metodi di contraccezione ha permesso la diminuzione di frequenza di gravidanze non desiderate, ma quando si verificavano il ricorso all’aborto aumentava, fino a quando il numero totale di interruzioni di gravidanza non è più sceso”.

Anche i fautori della contraccezione di recente  sono stati costretti a riconoscere che la pillola, considerata il più efficace contraccettivo, in effetti ha un’efficacia solo del 91% e che il 24% (circa 15.000) delle 60.952 donne che si sono rivolte per abortire nel 2016 al British Pregnancy Advisory Service (Bpas), che riunisce circa 40 cliniche inglesi e che fornisce informazioni sulla “salute sessuale” e assistenza alle donne che decidono di abortire, usavano contraccettivi ormonali o IUD, ritenuti i più efficaci contraccettivi, e che oltre il 51% di queste donne usavano un contraccettivo. (Women cannot control fertility through contraception alone, says British Pregnancy Advisory Service The Farmaceyutical Journal/11 JUL 2017).

Il periodico dell’ Alan Guttmacher Institute for Planned Parenthood Federation of America, istituzione statunitense che promuove campagne a favore della contraccezione e dell’aborto, ha riconosciuto che “in sei paesi come Cuba, Danimarca, Paesi Bassi, Stati Uniti, Singapore e Repubblica di Corea, il numero degli aborti e l’uso della contraccezione sono aumentati in modo simultaneo.” (C. Marston, J. Cleland, Relationships between contraception and abortion: a review of the evidence in “International Family Planning Perspectives”, Mar 2003, 29 (1), 6-13) e da altri studi si evince che l’aborto è un naturale prolungamento della contraccezione.

È universalmente accertato, infatti, che c’è una notevole differenza di efficacia tra l’utilizzo tipico degli estroprogestinici (0,3% di gravidanze non desiderate nel primo anno di uso) e l’utilizzo pratico (9% di gravidanze non desiderate nel primo anno di uso).

Se a ciò aggiungiamo il fatto che secondo sec. GOLDZIEHER (Contraccezione ormonale pillole, iniezioni, impianti; CIC Int., 1992, pag.34) nelle donne che assumono la pillola nell’1% dei cicli l’ovulazione avviene lo stesso ci rendiamo conto che non è proprio opportuno sperperare il poco danaro pubblico per creare danni alla salute delle donne e non ottenere il risultato di ridurre significativamente e realmente il numero delle gravidanze interrotte.

Comunicato stampa n.5 del 19 novembre 2022

ABSTRACT

La Relazione ministeriale al Parlamento sull’applicazione della legge n.40/2004 nel 2020, presentata il 18.10.2022, conferma ed accentua tutte le criticità che noi AIGOC abbiamo rilevato anche nelle Relazioni degli anni precedenti.

La sospensione dei cicli prima del prelievo ovocitario (10,2%) e dopo il prelievo ovocitario (11,4% per rischio OHSS e 14,4% per altre anomalie ovocitarie) fino ad avere una interruzione dei cicli dopo il prelievo ovocitario  del 44,1% ed il ricovero ospedaliero di 148  donne per serie complicazioni, pone seri interrogativi sul ricorso smisurato della iperstimolazione ovarica, specie nelle donne in età più avanzata per le quali si può valutare preventivamente la scarsa riserva ovarica con esami ormonali (AMH: ormone antimulleriano) ed ecografici. Non è neppure congruo un tale carico ormonale per le donne che vedono poi finire nella crioconservazione buona parte dei loro ovociti perché sovrannumerari rispetto a quelli trasferiti in utero.

Si evidenzia, come negli anni scorsi, il grande scarto tra il numero di embrioni prodotti da ovociti a fresco e scongelati (totale 137.064) rispetto al numero di embrioni dichiarati trasferibili (74.871 pari al 54,2%) e a quelli che sono stati effettivamente trasferiti in utero (31.051 pari al 41,47% degli embrioni trasferibili e al 22,65% degli embrioni prodotti).

Si conferma negli anni ormai, anche la scarsissima efficacia della PMA specie nella forma omologa, sia con ovociti a fresco che crioconservati, ma – sebbene in misura minore – anche nella forma eterologa con donazione di seme, nelle donne dopo i 40 anni di età, soprattutto dai 42 in su, quando la donna della coppia ricevente che viene stimolata per produrre gli ovociti da fecondare col seme donato.

Sempre più critico e drammatico è il crescente numero di embrioni crioconservati. Di fatto, dal 2005 al 2020 è stato posto nei freezer un numero di embrioni percentualmente sempre maggiore, rispetto a quelli trasferiti in utero (34,47% nella omologa nel 2020), a fronte di un numero di embrioni scongelati ben inferiore, tanto da portare il totale degli embrioni “ufficialmente” ancora crioconservati al numero di 140.683! Per la PMA eterologa, poi, non vengono mai riportati gli embrioni che residuano dopo scongelamento e di quelli prodotti non trasferiti in utero, per cui nel 2020 rimangono 20.587 embrioni di cui non si conosce il destino.

Tale situazione esige che il Parlamento ponga un limite alla produzione indiscriminata degli embrioni sovrannumerari che finiscono a -190°C e l’obbligo per la coppia che richiede la PMA – in sede di consenso informato – di impegnarsi a trasferire in utero – anche in più volte – tutti gli embrioni che accetta di crioconservare.

Dal 2004 al 2020 il 92,75% (1.852.492) degli embrioni prodotti sono stati sacrificati per far nascere 144.786 bambini (1 bambino nato vivo ogni 12,8 embrioni prodotti)!

Per quanto fin qui esposto ribadiamo che le tecniche di PMA non possono essere incluse tra le prestazioni LEA perché non sono terapia della sterilità/infertilità coniugale e perché oltre all’evidente svantaggio costo/benefici, producono la morte – ormai da oltre 13 anni documentata – della stragrande maggioranza degli embrioni prodotti e l’esposizione al gelo e a un destino indefinito di centinaia di migliaia di embrioni.

        L’inserimento nei LEA delle Adozioni Internazionali e Nazionali, mediante le quali le coppie non fertili possono con certezza realizzare il loro desiderio di avere figli, offrendo a tanti bambini poveri abbandonati dopo la nascita, la gioia di avere una famiglia che si prende cura di loro e li ama, è più razionale, più giustificabile dal punto di vista costi/benefici, più umano e rispettoso della dignità di ogni essere umano fin dal concepimento.

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Comunicato stampa n. 4 del 6 ottobre 2022

ABSTRACT

La grave denatalità del nostro Paese è assunta come pretesto ad incentivare le tecniche di PMA da parte dei ginecologi italiani della SIGO, così da essere richiesto con “urgenza” l’inserimento nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) di tutte le prestazioni finalizzate alla PMA. Ma analizzando i dati, a partire dalla Relazione annuale del Ministro della Salute al Parlamento italiano, si evidenzia la grande sproporzione tra l’ingente spesa che comporterebbe questo inserimento nei LEA e la scarsa efficacia delle stesse tecniche di riproduzione assistita.

La valutazione di merito della PMA deve prendere anche in considerazione gli esiti neonatali con le più frequenti problematiche: nati pretermine, gemellarità anche plurima, basso peso alla nascita, più alta morbilità e mortalità perinatale, maggiori malformazioni.

Viene anche messa in evidenza non solo la scarsissima efficacia di questi trattamenti, sia nella forma omologa che eterologa, nelle donne di età pari o superiore ai 42 anni, ma anche il rischio di mortalità se all’età è associata l’obesità (IMC pari o superiore a 30Kg/m2).

Alla crescente domanda delle coppie infertili di avere figli, piuttosto che offrire anche gratuitamente la PMA con i suoi ingenti costi in vite umane (embrioni sacrificati) ed economici, si ritiene più meritevole il sostegno dello Stato, attraverso l’ammissione nei LEA, dell’istituto della adozione di bambini abbandonati dai loro genitori nel nostro e nei Paesi più poveri. Questo incentivo economico all’adozione, pari almeno al costo di 3 cicli di Fivet eterologa, unitamente allo snellimento delle procedure burocratiche, risponderebbe pienamente all’obiettivo di una genitorialità desiderata e alla cura di bambini altrimenti abbandonati.

La denatalità richiede azioni impegnative su molti fronti, culturali e sociali, per essere fronteggiata con efficacia. La PMA non sembra avere un impatto sufficientemente significativo su di essa, a fronte di tante risorse impegnate ed esiti numericamente scarsi ed anche problematici per la salute dei bambini e delle madri.

 

ARTICOLO COMPLETO

Con il pretesto di dare soluzioni al grave problema sociale della denatalità, i ginecologi italiani che lavorano nei Centri di fecondazione extracorporea, spingono l’opinione pubblica e i politici ad incrementare il ricorso a queste tecniche che risolverebbero l’infertilità crescente nelle donne e nelle coppie italiane. Peccato invece che, a fronte di un crescente numero di coppie che vi ricorrono, la percentuale di coloro che riescono ad ottenere un “figlio in braccio” raggiunge complessivamente soltanto il 17,38% (ultima Relazione del Ministero della Salute sulla applicazione della L.40/2004 del 12.01.2022, dati relativi al 2019)! Diciamo “soltanto”, perché se consideriamo i numeri assoluti registrati nell’anno 2019 delle coppie (67.633), degli embrioni totali sacrificati (158.617 di cui 73.722 dopo trasferimento in utero), degli embrioni in sovrannumero crioconservati (67.072), appare evidente la sproporzione dei costi in vite umane ed economici rispetto ai risultati ottenuti in questi anni (vedi anche tabella 9 allegata).

Ma per una completa valutazione di merito occorre anche considerare quello che solitamente non viene riportato nella comunicazione mediatica, ossia gli esiti qualitativi della PMA, le problematiche neonatali molto più frequenti in questi casi rispetto ai nati per fecondazione naturale, come riassunto schematicamente nella tabella 11 allegata.

Se tutte le prestazioni finalizzate alla FIVET venissero ammesse nei LEA, così come richiedono con “urgenza” i ginecologi italiani, per ogni coppia, lo Stato dovrebbe elargire Euro 2.750 per ciclo di “omologa” (questo costo è stato approvato dal Ministero della Salute il 13.05.2022), con la possibilità di effettuare un massimo di 3 cicli per coppia (e la maggioranza delle coppie si sottopone a più di un ciclo). Sicuramente verrebbe prevista una spesa superiore ai 3000 Euro per la forma “eterologa” (l’attuale costo “in privato” secondo quanto riportato da “Medicina della Riproduzione”, è di Euro 4.500 con la donazione di spermatozoi, Euro 6.500 con ovodonazione/embriodonazione). Ma per queste forme “eterologhe” le tariffe non sono state ancora definite da parte del Ministero della Salute.

Si può pertanto dedurre con buona approssimazione l’ammontare della spesa totale annuale, solo per le forme “omologhe”, sulla base dei dati dell’ultima Relazione ministeriale per l’anno 2019. Se il numero dei cicli effettuati per la fecondazione “omologa” è stato di 50.324 per quella “a fresco” e di 23.157 per quella con scongelamento di ovociti ed embrioni, per un totale di cicli pari a 73.481, la spesa totale corrisponderebbe a Euro 202.072.750. E soltanto per la forma “omologa”! Nel 2019 sono stati anche effettuati in totale 8.955 cicli di fecondazione “eterologa”. Se, per auspicata ipotesi (includendo generosamente anche i costi per la crioconservazione degli ovociti e degli embrioni e quelli per la diagnosi pre-impianto) la spesa per un ciclo di questa forma di FIVET fosse di Euro 3.000, si aggiungerebbero ulteriori Euro 26.985.000! Si comprende allora, da un lato, la grande sproporzione tra questo auspicato ma ingente investimento statale e lo scarso risultato delle stesse tecniche che ha permesso la nascita di 12.797 bambini, pari soltanto al 3,04% di tutti i nati (420.084) dell’anno 2019! Dall’altro lato, si capisce tutto l’interesse economico che muove i ginecologi italiani impegnati in questa attività.

Ma le Relazioni del Ministro della Salute al Parlamento italiano sulla applicazione della Legge n.40/2004, oltre a questi dati generali riportati nella tabella 9 che negli anni vengono confermati come particolarmente preoccupanti, e a quelli degli esiti di salute per i bambini nati con queste tecniche come riassunte nella tabella 11 (maggior numero di gemellarità anche plurime, di parti pretermine, di basso peso alla nascita, di malformazioni, di morbilità e mortalità perinatale), se ne rilevano ancora altri sul versante materno, tali da far ritenere inammissibile la inclusione di queste tecniche (non certamente terapie!) nei LEA.

Infatti, la dimostrata e confermata peggiore inefficacia delle tecniche di fecondazione extracorporea omologa ed eterologa per le donne appartenenti alle classi di età uguali o superiori ai 42 anni non dovrebbe rendere ammissibile la loro inclusione nei LEA; ancor più per le donne con IMC (indice di massa corporea) uguale o superiore a 30 Kg/m2 e/o con età uguale o superiore ai 42 anni, che hanno un rischio aumentato di morte.

A tale riguardo, nell’ultima Relazione viene omessa la notizia riportata nel Primo Rapporto ItOSS. Sorveglianza della Mortalità Materna negli anni 2013-2017, pubblicato nel 2019 dall’Istituto Superiore della Sanità, nel quale a pagina 19 si legge “Oltre all’obesità un’altra condizione frequente tra le donne decedute è il ricorso alle tecniche di Procreazione Medicalmente Assistita (PMA). L’11,3% delle morti materne (12/106) riguarda donne che hanno concepito mediante tecniche di PMA (6 ICSI, 5 FIVET e 1 tecnica non nota). La percentuale di morti materne associate a PMA rilevata dal Sistema di sorveglianza del Regno Unito è pari al 4%, molto più bassa di quella italiana. La proporzione di gravidanze ottenute mediante tecniche di PMA è invece analoga nei due Paesi, pari a circa il 2% (5, 7, 8) e pertanto non giustifica la diversità nella frequenza degli esiti. L’unica differenza che sembra associabile alla minore proporzione di morti materne nel Regno Unito riguarda la norma vigente in quel Paese in base alla quale il Servizio Sanitario pubblico non offre PMA alle donne con IMC ≥ 30 Kg/m2 e/o età ≥ 42 anni. Controllando tali caratteristiche nelle donne decedute in Italia emerge che 7/12 hanno IMC ≥ 30Kg/m2 e 4/12 un’età ≥ 42 anni. Alla luce di questi dati riteniamo opportuno considerare anche nel nostro Paese una possibile regolamentazione dei criteri di accesso alle tecniche di PMA nel Servizio sanitario pubblico. La revisione dei casi segnalati alla sorveglianza ItOSS ha infatti evidenziato alcune criticità quali, per esempio, due donne che avevano concepito mediante PMA e che sono decedute per tromboembolia, una dopo un aborto spontaneo in gravidanza gemellare a 42 anni di età e con IMC = 39 Kg/m2 e una seconda deceduta alla 19esima settimana di gravidanza all’età di 43 anni e IMC = 31 Kg/m2. Il 55,4% delle donne decedute è nullipara e 10 delle 106 gravidanze esitate in morte materna sono multiple, 8 delle quali a seguito di concepimenti da PMA.”

Esporre, dunque, donne di età uguale o superiore ai 42 anni ed obese, ad un reale rischio di morte, a fronte poi di un risultato molto scarso di maternità mediante PMA, è evidentemente un azzardo per nulla giustificabile a danno della salute delle stesse donne, e che il nostro SSN non dovrebbe permettere.

Riteniamo dunque che, a fronte di una crisi demografica gravissima per la bassissima natalità, e in presenza di una concomitante grave situazione economica, lo Stato non possa rendere disponibili ingenti risorse economiche attraverso l’inserimento nei LEA di trattamenti scarsamente efficaci e talora pericolosi come la PMA in tutte le sue forme.

È invece doveroso ed improcrastinabile che le coppie che cercano di adottare bambini abbandonati dai loro genitori in Paesi poveri possano essere aiutati per legge con un rimborso spese pari almeno al costo di 3 cicli di PMA eterologa. Queste adozioni meritano di essere inserite al più presto nei LEA, perché oltre a poter dare alle coppie la gioia di avere dei figli, offrono il calore di una famiglia a tanti bambini abbandonati, senza esporre a morte certa l’88,62% dei loro fratellini concepiti in provetta per poter vedere la luce del sole!

La grave denatalità può essere affrontata con efficacia soltanto con serie “misure” e provvedimenti che incidano concretamente sul piano sociale e culturale favorendo la genitorialità naturale, tanto compromessa dalle oggettive difficoltà per le coppie di avere una loro autonomia ed autosufficienza di mezzi; come pure, sul piano culturale e di costume, dal ricorso all’aborto volontario e alla contraccezione d’emergenza che rivelano il radicarsi di una mentalità anti-vita.

 

 

Comunicato Stampa n. 3 del 4 luglio 2022

Abstract:

Da molti anni abbiamo il dubbio che i dati forniti dalle Relazioni del Ministro della Salute al Parlamento sull’applicazione della legge 194/1978 siano molto inferiori a quelli reali, in particolare quelli riportati nelle tabelle sintetiche in calce alla relazione. L’anno scorso abbiamo avuto uno scambio via mail con la Responsabile del Processo Indagine sulle IVG dell’Istat e con i Referenti di Epicentro su questo argomento, ma al di là degli inviti reiterati in questa ultima relazione a svolgere meglio la raccolta dei dati non abbiamo potuto notare significativi miglioramenti nel servizio.

La tabella riportata a pagina 55 della relazione ci ha offerto lo spunto per iniziare la riflessione di quest’anno: i dati da essa riportati da noi esplicitati con i numeri accanto alle percentuali fornite, che meglio rendono l’idea della situazione confermano quanto da noi affermato nel nostro Comunicato Stampa n. 5 del 27 agosto del 2020, cioè che le ivg farmacologiche comportano un maggior numero di complicazioni (989 / 23.008 ivg) rispetto a quelle chirurgiche (260 / 43.405).

In Umbria abbiamo avuto la possibilità di confrontare i dati forniti dalla Relazione Ministeriale – in particolare delle Tabelle 26 e 27 – con i dati ottenuti dalle SDO (Schede di Dimissione Ospedaliera): chi avrà la pazienza di leggere tutto il comunicato potrà prendere atto che la realtà è molto più drammatica di quello che la tabella di pagina 55 ci presenta.

* * * * *

Comunicato

I dati riportati in questa tabella di pagina 55 dell’ultima Relazione del Ministro della Salute al Parlamento sull’applicazione della legge 194/1978 nell’anno 2020, da noi modificata aggiungendo la consistenza numerica alle percentuali confermano quanto da noi affermato nel Comunicato Stampa n. 5 del 27 agosto 2020, cioè che le ivg farmacologiche sono gravate da un maggior numero di complicanze, che nel 2021 potrebbero essere più numerose essendo le nuove norme sull’aborto farmacologico usate non in tutte le Regioni e negli ultimi tre mesi e mezzo dell’anno 2020.

Chi si limita ad una lettura frettolosa della relazione e si ferma a dare maggiore attenzione alle 32 Tabelle riassuntive contenute nella Relazione si potrebbe fare un’idea completamente diversa della situazione.

            Sopra è riportata la Tabella 27 “IVG e complicanze, 2020”: secondo questa tabella le complicazioni totali registrate sarebbero 490, cioè il 7,4 x 1.000. Nella parte inferiore abbiamo riportato i dati trovati sul sito ISTAT relativi all’Italia per l’anno 2020: non c’è un numero che coincida pur essendo unica la fonte. Sul sito dell’ISTAT troviamo 720 mancato/incompleto aborto, assenti completamente nella Tabella 27, nella quale ci sono Regioni come la Liguria e l’Umbria in cui sembrerebbe che le complicazioni non siano state rilevate rispettivamente nel 19,5% (Liguria) e 15,5% (Umbria) dei casi.

Nella relazione leggiamo più volte “si sottolinea ancora una volta l’importanza da parte dei professionisti che operano nelle strutture di riportare e registrare tutte le informazioni richieste dalla legge 194/1978 sul questionario, …”, ma a quanto pare quando vengono fatte le tabelle è un altro il criterio che viene adottato!

La tabella 1 conferma quanto prima affermato, cioè che il maggior numero di giornate di degenza è legato alle ivg farmacologiche.

Ma è possibile fare altre più approfondite analisi partendo proprio dai dati riportati in queste tabelle: nella tabella 27 per l’Umbria sono riportate 3 casi di emorragia, 6 casi di altro e 128 casi di dato non rilevato. Nel sito ISTAT possiamo leggere: 3 casi di emorragia, 2 casi di Incompleto/mancato aborto, 6 casi di altro e 128 casi di dato non rilevato.

I dati umbri riportati nella Tabella 27 sono meno completi dei dati offerti a pagina 3 del Questionario annuale ISS (Istituto Superiore Sanità) sull’andamento delle IVG nell’anno 2020 inviato alla Regione Umbria.

Entrambi sono molto lontani dalla situazione reale, che appare in modo chiaro ed inequivocabile andando a consultare le SDO (schede dimissione ospedaliera) delle donne che si sono sottoposte ad IVG nell’anno in oggetto, che di seguito riportiamo:

Partiamo dalla colonna Nessuna complicazione: andando a verificare il numero delle donne ricoverate per IVG farmacologica (Codice diagnosi 635* (qualsiasi posizione) e codice procedura 9924 (qualsiasi posizione) troviamo 67 ricoveri ordinari e 132 in DH/DS per un totale di 199 ricoveri con 469 giornate di degenza. Nella colonna Aborto incompleto o mancato abbiamo 62 ricoveri in DH/DS con diagnosi 63590 (IVG senza complicazione riferita, non specificato se completo od incompleto), che hanno comportato una degenza di 151 giornate e 49 ricoveri (2 ordinari e 47 in DH/DS) con diagnosi 63591 (IVG senza complicazione riferita, incompleto) per un totale di 146 giornate di degenza. Nella colonna SHOCK abbiamo un ricovero in DH/DS con diagnosi 63550 con 2 giornate di degenza. Sommando abbiamo 311 ricoveri per un totale di 766 giornate di degenza per le sole IVG farmacologiche, molto più numerose di quelle riportate nella tabella 27 (9 ricoveri + 128 dati non rilevati) per tutte le IVG – chirurgiche + farmacologiche – effettuate nell’anno 2020!

Non conteggiando i 199 casi classificati “nessuna complicazione”, ma che hanno richiesto 199 ricoveri e determinato 469 giornate di degenza, i soli ricoveri per mancato/incompleto aborto (111) e per shock (1) rappresentano il 33,6% delle complicazioni registrate in Umbria nelle donne sottoposte ad IVG farmacologica, nettamente superiore alla % nazionale (2,9%) riportata nella tabella dell’ISTAT di pagina 55 della relazione ministeriale!

La tabella 4 ci fa vedere che nei 486 casi di IVG chirurgiche senza complicazione riferita e con aborto completo (codice 63592) ci sono stati 6 ricoveri ordinari con 9 giornate di degenza e 480 ricoveri in DH/DS con 481 giornate di degenza; 29 casi di IVG senza complicazione riferita, non specificato se completo o incompleto con un ricovero ordinario (codice 63590) con 23 giornate di degenza e 28 ricoveri in DH/DS con 29 giornate di degenza; 1 caso di IVG chirurgica completa con insufficienza renale (codice 63532) con 1 giornata di ricovero in DH/DS; 3 casi di IVG incompleta (63591) con 2 ricoveri ordinari e 4 giornate di degenza ed 1 ricovero in DH/DS con 1 giornata di degenza.

Conteggiando anche per le IVG chirurgiche solo i mancati/incompleti aborti (33) registriamo in Umbria un’incidenza del 6,07%, nettamente inferiore a quella registrata nelle ivg farmacologiche (33,6%).

            Ci stupisce come nella tabella 27 nella riga dell’Umbria non sia registrato alcun caso di mancato/incompleto aborto!

Nella tabella 26 leggiamo che in Umbria nel 2020 ci sono stati 688 ricoveri con <1 giornata di degenza, solo 9 ricoveri con degenza di 2 – 3 giorni per un totale di 60 giornate di degenza e 88 casi in cui il dato non è stato rilevato; dalle SDO delle donne che si sono sottoposte ad IVG in Umbria nel 2020 risulta, come si può vedere nella tabella sotto riportata, che ci sono stati 832 ricoveri con almeno 1 giornata di degenza per un totale di 1.949 giornate di degenza.

Sorge spontanea una domanda: chi ha compilato queste tabelle dove ha preso i dati e quale controllo è stato fatto per verificarne la correttezza?

Se in una Regione piccola come l’Umbria di 263 ricoveri con degenza di durata ≥ 2 giorni (pari 806 giornate di degenza) vengono riportati solo 9 casi di 2-3 giornate di degenza (per un totale largo di 27 giornate di degenza) – cioè lo 0,034% dei dati reali – e 88 dato non rilevato (N.R.) come ci si può fidare degli estensori di queste tabelle e delle autorità che li avallano pubblicandoli nella Relazione annuale al Parlamento del Ministro della Salute sull’applicazione della legge 194/1978 ?

Il Consiglio di Stato ha confermato quanto dichiarato dal TAR del Lazio nel maggio 2021 sulla liceità dell’acquisto della “pillola dei 5 giorni dopo” senza prescrizione medica per le ragazze di età inferiore ai diciotto anni.

Le argomentazioni con le quali è stato respinto il ricorso cavalcano gli stessi equivoci “semantici” sui meccanismi di azione dell’Ulipristal acetato (UPA) principio attivo della pillola dei 5 giorni dopo “ellaOne”, cui la letteratura scientifica, ha già ampiamente risposto. L’Ulipristal Acetato ha un’azione antiprogestinica, molto simile al MIfepristone ovvero la pillola RU486, utilizzata per l’aborto volontario farmacologico. Come gli autori Brache et al. 2010 e Stratton et al. 2010 hanno descritto, l’UPA ha un effetto esclusivo inibitorio sull’ovulazione soltanto nella fase iniziale del ciclo ovarico, prima dell’aumento dell’ormone LH che prepara l’ovulazione.  Questo effetto anti-ovulatorio, a partire dall’inizio dell’aumento dell’ormone LH nel sangue della donna – indicato nel grafico con il cerchietto 3 – tende a decrescere fino al picco dell’ormone LH. Dopo       prevale come unico effetto quello di inibire l’annidamento median-te la saturazione dei recettori endometriali per il progesterone da parte dell’UPA (vedi figura), che rende ipo-trofico l’endometrio, per cui – qualora non venisse inibita l’ovula-zione –  l’embrione non riuscirebbe comunque ad annidarsi nella parete uterina. Si tratta di un effetto abortivo molto precoce. Tale problematica di carattere bioetico posta dalla Scienza viene taciuta con un artifizio semantico dal momento che l’American College of Obstetricians and Gynegologist (ACOG) con la pubblicazione del Terminology Bulletin del 1965, ha arbitrariamente cambiato il significato del termine “concepimento”. Con questa parola non bisognava oramai intendere la fecondazione – cioè, la fusione di ovulo e spermatozoo -, bensì da allora l’annidamento dell’embrione nell’endometrio.  Così risulta “non umano” il nuovo e irripetibile “individuo concepito” che è invece perfettamente autonomo e che non utilizza i nutrienti materni per svilupparsi e “viaggiare” dalla tuba alla cavità endometriale per l’impianto . Solo accettando una definizione così strumentale per i giudici si può e anzi si “deve” ancora parlare di “contraccezione d’emergenza”. L’AIFA ha scelto questa interpretazione strumentale dell’inizio della vita pur essendo a conoscenza dei molti ed autorevolissimi studi che hanno confermato con metodo scientifico che la vita umana inizia nel momento del concepimento (R.J. Scothorne, Early Development, 1976; R.G. Edwards, Conception in the Human Female, Accademic Press 1980, pag. 610 fig. 8.14d; R.G. EDWARDS – P.G. STEPTOE, A matter of life, London, 1981, pag. 101; P. Bischof et AL. Human Reproduction Update 1996; S.F. GILBERT, Developmental Biology, Sinauer, Sunderland (Mass), 6st edit., 2000, pag. 185; British Medical Journal editoriale novembre 2000; H.PEARSON: NATURE  VOL. 418, 4 JULE 2002) e ha autorizzato anche per le minorenni l’uso dell’ ellaOne senza bisogno di ricetta medica.

Trattare l’UPA alla stregua di un “farmaco da banco” senza la necessità di ottenere un “consenso informato” espone clinicamente ad un rischio, non solo la salute fisica delle giovanissime che ne fanno già abbondante uso ed in forma tutt’altro che occasionale, ma anche la salute psichica per le importanti implicazioni bioetiche descritte. Anche a distanza di anni dall’assunzione, la consapevolezza di aver assunto un farmaco potenzialmente abortivo è causa di depressione e disturbi dell’umore anche gravi.  Riguardo alla salute fisica,  il principio attivo della pillola dei 5 giorni dopo (UPA) riconosciuto nel 2018 dall’ EMA e dal Prac (Comitato di Valutazione dei Rischi per la Farmacovigilanza) come causa di gravi effetti tossici sul fegato delle donne che lo assumevano al dosaggio di 5mg/die per cicli di alcuni mesi per la terapia della fibromatosi uterina  è stato, prima ritirato dal commercio e, successivamente reintrodotto solo previa  compilazione di un Piano terapeutico con la raccomandazione di un’attenta sorveglianza della funzionalità epatica.

La pillola ellaOne ha un dosaggio 6 volte maggiore (30 mg) di UPA e, sebbene l’AIFA esclude un simile possibile rischio di danno epatico grave, ipotizzandone un uso solo occasionale, è naturale avere forti perplessità in considerazione della sua documentata frequenza di utilizzo. Considerando che la scelta di assumere un tale farmaco  avviene solitamente in un momento di confusione e di timore, sarebbe ancora più necessaria  la possibilità di avere un consulto con persone intellettualmente competenti e oneste.

Il Consiglio di Stato ha voluto affermare la logica del principio dell’autodeterminazione assoluta sulle proprie scelte di salute, questa volta, anche per soggetti delicati quali le donne adolescenti che, ignare degli effetti biologici delle sostanze, vengono indotte ad assumerle a prescindere da eventuali rischi per la salute fisica e psichica, in risposta all’unico “contingente” scopo di evitare una gravidanza.

La gravidanza viene così considerata alla stregua di una malattia a prognosi infausta da giustificare l’utilizzo di un qualsiasi farmaco ad “occhi chiusi”; cosa che non viene fatta neanche per una patologia tumorale. Si rinuncia ad educare i giovani ad una scelta affettiva e sessuale responsabile e pienamente appagante. Il fallimento di un tale approccio è ampiamente dimostrato dal fatto che i Paesi che più hanno facilitato il ricorso alla contraccezione/intercezione registrano un incremento dei tassi di aborti volontari e di una mentalità disimpegnata, se non ostile, nei confronti del partner e di un’eventuale  vita nascente. Proprio l’opposto di quanto necessitano le donne!

Nel totale silenzio dei mass media il 12 gennaio 2022 sul sito del Ministero della Salute è stata pubblicata la Relazione del Ministro della Salute al Parlamento sull’applicazione della legge 40/2004 con 27 pagine in più di quella precedente, ma con molti meno dati importanti ai fini della conoscenza dei reali effetti e dei risultati di queste tecniche di riproduzione umana mortifere.

La sentenza della Corte Costituzionale del 13 maggio 2009, che ha abolito il limite della produzione al massimo di tre embrioni da trasferire simultaneamente in utero ha creato un vulnus nella legge 40, che permette un uso incontrollato ed indiscriminato di produzione, crioconservazione e dispersione di embrioni umani, che i Parlamentari Italiani dopo quasi tredici anni continuano ad ignorare e sottovalutare.

Nella Tabella 1 sono riassunti i dati raccolti in diverse pagine della relazione ministeriale, che ci permettono di ricostruire quanto è avvenuto nel 2019 nei cicli di fecondazione extracorporea omologa.

Sono stati prelevati 338.805 ovociti (7,4 ovociti/prelievo), ne sono stati inseminati il 76,3%, e fecondati a fresco 168.611. Solo 47.270 di questi 168.611 ovociti fecondati (embrioni) sono stati trasferiti in utero! Aggiungendo a questi embrioni quelli prodotti con scongelamento e fecondazione di ovociti della stessa coppia e quelli crioconservati scongelati della stessa coppia sono stati trasferiti in utero 75.405 embrioni.

Prima di continuare l’analisi di questi dati non possiamo non porci una domanda:

perché bombardare con dosi eccessive di ormoni queste donne per prelevare in media 7,4 ovociti quando nel 91,5% dei casi sono stati trasferiti al massimo 1-2 embrioni e nel 7,8% al massimo 3 embrioni?

Il risultato di questo sconsiderato modo di operare è che nel 2019 si sono registrati 21.593 cicli annullati (42,9% del totale dei cicli iniziati a fresco) con un incremento del 2,8% rispetto al 2018. DI questi l’8,4% è stato annullato prima del prelievo ovocitario (cicli sospesi), mentre il 34,5% (+3,6% rispetto al 2018) è stato interrotto prima del trasferimento, nel 23,9% dei casi per rischio OHSS.

         Gli estensori della relazione – anche quest’anno! – ci hanno concesso la possibilità di avere i dati per poter ricostruire in gran parte i risultati offerti dalla PMA omologa a fresco, dopo scongelamento di ovociti e di embrioni.

Nelle coppie trattate a fresco già a partire dall’età di 35-39 anni la % di coppie con figlio in braccio scende al 14,45%, per abbassarsi al 6,50% all’età di 40-42 anni e quasi scomparire (1,68%) sopra i 43 anni. Nei cicli trattati con scongelamento di ovociti la % di coppie con figli in braccio/cicli di scongelamento di ovociti è più bassa anche nelle donne di età inferiore a 34 anni (14,97%), nelle donne di età 35-39 anni (9,91%), nelle donne di età 40-42 anni (6,28%), mentre è lievemente superiore nelle donne ≥ 43 anni (3,16%).

Nelle donne trattate con scongelamento di embrioni in tutte le fasce d’età la % di figli in braccio/cicli di scongelamento embrioni è nettamente superiore: 23,38% nelle donne con età inferiore a 34 anni, 21,42% nelle donne di 35-39 anni, 13,72% nelle donne di 40-42 anni e 6,48% nelle donne ≥ 43 anni.

I nati vivi da tutte le tecniche di fecondazione extracorporea omologhe sono solo 10.607, 47.250 sono gli embrioni ufficialmente crioconservati, mentre gli embrioni sacrificati sono 64.798 dopo trasferimento in utero (85,93% embrioni trasferiti) ed in totale diventano 137.890 (embrioni prodotti + scongelati – embrioni crioconservati + nati vivi).

Per la fecondazione extracorporea eterologa la relazione di quest’anno offre molto meno dati di quelle già carenti degli anni precedenti: non sono più presenti i dati relativi ai singoli gruppi di età delle donne per ogni tipo di donazione (seme, ovociti, embrioni), sappiamo che sono state trattate 7.674 coppie (1.397 con seme donato, 5.815 con ovociti donati e 462 coppie con donazione di embrioni). Sono nati 2.190 bambini da 2.042 parti non sono espressamente indicati quanti embrioni vengono crioconservati per cui quelli da noi indicati (14.827) sono solo i dati desumibili dalla tabella G1 pagina 273 relativa all’import/export, mentre di 20.939 embrioni non si ha alcuna notizia (vedi tabella 7).

Come si può osservare nell’allegata tabella 9 col passare degli anni aumenta il numero (1.713.304) degli embrioni sacrificati sopra l’altare della fecondazione extracorporea, il numero (160.895) degli embrioni crioconservati molti dei quali senza speranza di essere per lo meno trasferiti nell’utero della propria mamma o di qualche altra donna, dal momento che ogni anno dai dati offertici (vedi tabella 58 modificata) si nota l’incremento significativo del numero degli embrioni crioconservati rispetto agli embrioni scongelati.

Anche le indagini genetiche pre-impianto nel 2019 sono aumentate (+ 1.268), mentre è diminuita la % coppie con figlio in braccio (20,07%). 

Per quanto riguarda le informazioni in toto fornite dalla relazione sono molto scarse e striminzite e non offrono alcun dato come quelli contenuti nella tabella 3.4.17 pag.120 della relazione del 2018, in cui era possibile vedere il numero dei prelievi effettuati, il numero dei cicli con congelamento di ovociti e quelli con congelamento di embrioni e la % di questi ultimi sui prelievi effettuati. Mancano i dati contenuti nella tabella 3.4.23 di pag. 125, che forniva notizie sul numero dei trasferimenti effettuati Regione per Regione e sulla loro % con FIVET, ICSI, FER e FO. Non troviamo nell’ultima relazione una tabella come quella 3.4.27 di pag. 128 con la distribuzione regionale del numero di embrioni trasferibili, della media degli embrioni trasferibili per ogni prelievo effettuato, della deviazione standard e dell’intervallo!

Evidentemente il Ministro della Salute non sa o ha dimenticato che la legge 40/2004 – come la legge 194/1978 – prevede che il Ministro riferisca ogni anno al Parlamento sull’applicazione della legge in oggetto per offrire ai Parlamentari tutte le informazioni necessarie per comprendere se sia opportuno intervenire per modificare la legge, per renderla più rispettosa della dignità e della vita di tutti i soggetti interessati.

Il fatto che nel 2019 nelle fecondazioni extracorporee omologhe il 91,5% dei trasferimenti è stato fatto con 1-2 embrioni ed il 7,8% con 3 embrioni per un totale del 99,3% dimostra chiaramente che quanto il Parlamento aveva stabilito nell’articolo 14 della legge 40/2004 come numero massimo di embrioni da produrre (tre), abolito dalla Corte Costituzionale con la sentenza n.151/2009, era ed è scientificamente confermato e da ristabilire al più presto come pure l’obbligo per la coppia di trasferire – anche in momenti diversi – tutti gli embrioni che accetta di far produrre dal Centro cui si rivolge.

Si eviterebbe di vedere aumentare anno dopo anno il numero degli embrioni umani sospesi nell’azoto liquido o di cui non si conosce il destino … !

La dimostrata e confermata scarsa efficacia delle tecniche di fecondazione extracorporea omologa nelle classi di età uguali o superiori ai 42 anni richiede l’esclusione dai LEA (livelli essenziali di assistenza) almeno di queste fasce di età come pure delle donne con IMC (indice di massa corporea) uguale o superiore a 30 e/o con età uguale o superiore ai 42 anni, che hanno un rischio aumentato di morte (cfr. ns. comunicato anno 2021).

Le scarse risorse disponibili richiedono il loro utilizzo oculato: se vengono utilizzate per trattamenti scarsamente efficaci, perché le coppie che cercano di adottare bambini abbandonati dai loro genitori in Paesi poveri non sono aiutati per legge (un rimborso spese pari almeno al costo di tre cicli di PMA eterologa) allo stesso modo delle coppie che ricorrono alla PMA?

È una domanda ed una accorata richiesta che facciamo ai Parlamentari Italiani chiedendo il loro sollecito intervento.

Tabelle allegate: 7, 9, 58.

 

 

 

 

COMUNICATO STAMPA N. 5 DEL 22 SETTEMBRE 2021

Esprimiamo la nostra grande insoddisfazione per la Relazione ministeriale di questo anno, forse la peggiore di tutte le altre precedenti, per le seguenti osservazioni di merito.

  • La incompletezza dei dati: moltissimi non rilevati (N.R.) rispetto all’anno precedente in riferimento a tutte le categorie di analisi o variabili prese in esame annualmente, come riportato nella tabella 1 del nostro Comunicato Stampa in forma estesa.
  • Le complicazioni immediate nelle IVG farmacologiche, riportate nella Relazione ministeriale, sono incrementate del 2% nel 2019 (979 nel 2019 vs 551 nel 2018) e risultano 10 volte superiori a quelle registrate per tutte le 73.207 IVG del 2019.
  • Il ricorso alla procedura d’urgenza appare in notevole, costante ed inspiegabile aumento rispetto agli anni precedenti. Nel 2019 sono state applicate le procedure d’urgenza nel 23,5% delle IVG e per 6,8% il dato non è stato rilevato. In alcune Regioni italiane la percentuale è ancora più alta della media nazionale: Puglia 45.1% e 44% dato N.R., Lazio 43,3%, Piemonte 42,5%, Toscana 31,9%, Emilia Romagna 28,4%, Abruzzo 28,3%.

Il testo integrale del Comunicato Stampa riporta in modo analitico i rilievi critici qui riassunti. Per visualizzare il testo integrale del COMUNICATO STAMPA N. 5 DEL 22 SETTEMBRE 2021 clicca sul seguente link

Comunicato Stampa n. 5 del 22 SETTEMBRE 2021

 

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