LUCI E OMBRE DELLA VITA UMANA

 

8 novembre 2014

“Luci e ombre della vita umana”, è il titolo dei tre seminari conoscitivi organizzati dal Consultorio familiare diocesano «Sidera ». Tre incontri gratuiti per veicolare contenuti e approfondire la conoscenza, spesso parziale e non saustiva, sul tema della fecondità umana e del dono della vita nascente. L’obiettivo è quello di stimolare la riflessione e ampliare le possibilità a disposizione di singoli, coppie e famiglie di poter effettuare scelte più consapevoli, mature e responsabili.
Sabato 8 novembre, il dottor Angelo Filardo, medico ginecologo, esperto in bioetica, Segretario nazionale Aigoc (Associazione Italiana Ginecologi Ostetrici Cattolici) terrà il secondo seminario dal titolo «Le basi scientifiche dei metodi di regolazione naturale della fertilità». Con questo appuntamento il Consultorio rinnova il suo impegno, a favore dell’intera comunità, a operare e agire in un ottica di recupero e valorizzazione delle risorse interne proprie della persona e delle famiglie, per giungere a una maggiore consapevolezza di sé, aprendo la strada alla possibilità di far diventare il disagio un’opportunità di crescita e cambiamento. Questo è l’obiettivo prioritario che guida tutte le attività consultoriali che si realizzano all’interno di un quadro di riferimento coerente con la visione cristiana della vita, che accomuna l’intera equipe degli operatori del Consultorio. Nel corso dei suoi tre anni di attività, il Consultorio ha accolto e supportato, con professionalità e competenza, circa 150 utenti tra singoli, coppie e famiglie portatori di varie problematiche e disagi. La missione deriva proprio dal suo nome. Sidera, infatti, significa «astri» ma da esso proviene anche la parola «desiderio», ossia «movimento verso» il raggiungimento di una meta, la realizzazione di un progetto costruito con coloro che al Servizio si rivolgono. L’appuntamento è per sabato 8 p.v. alle ore 18 presso l’Auditorium Pierluigi di Palestrina, in via delle Monache 2.

Alessandra Chiapparelli

Il vero grande “successo” della legalizzazione dell’aborto

 

La legalizzazione dell’aborto non ha conseguito solo fallimenti, ma anche “successi”. Se ha completamente mancato il fine di cancellare l’aborto clandestino e tutelare la salute della donna, non ha certamente fatto fiasco nel provocare – come tragica conseguenza – l’aumento abnorme del numero degli aborti.

La legge ha, infatti, la capacità di incidere sui costumi sociali, per cui se una pratica immorale ottiene legittimazione formale, tenderà a perdere il carattere di gravità che le apparteneva, divenendo pian piano, nel sentire comune e nei comportamenti, una cosa normale e giusta. Questa constatazione era stata fatta già nel 1975 da Simone Vieil in un’intervista sul Time del 3 marzo: “Modificando la legge, voi potete modificare profondamente il modello di comportamento umano. Ciò mi affascina”[1]; e confermata, per esempio, in Italia, da uno studio sociologico di due ricercatori dell’Università di Trento (Maternità negata, Milano 1988), in cui si conclude che: “il 32% delle donne che hanno abortito non l’avrebbe fatto se non ci fosse stata la legge 194 a permetterlo. Quindi, dal 1978 in poi, sarebbero stati fatti centinaia di migliaia di aborti che, in mancanza della 194, si sarebbero potuti evitare”[2].

I Paesi che hanno legalizzato l’aborto hanno raggiunto tutti il medesimo risultato: gli aborti clandestini non sono stati eliminati, mentre quelli legali sono cresciuti in modo esponenziale. L’aborto è diventato la prima causa di mortalità in Europa: secondo il rapporto annuale dell’Istituto di Politica Familiare (IPF), nel 2008 sono state interrotte 2.843.649 gravidanze (1 aborto ogni 11 secondi). Negli ultimi 15 anni, sono state 20.635.919 le Ivg legali praticate nel Vecchio Continente. In America, dalla Roe v. Wade (1973), sono stati effettuati 56.662.169 aborti legali, cioè 157 bambini uccisi ogni singola ora, 2,6 aborti al minuto. Secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel mondo ogni 100 bambini che nascono 30 e più sono quelli che vengono abortiti. Negli ultimi quarant’anni – come dimostra Socci nel suo libro – sono stati sterminati legalmente nel mondo ben più di un miliardo di figli, un numero che fa dell’aborto “il più vasto olocausto della storia umana”. La Dichiarazione di Saragozza – approvata in Spagna durante il IV Congresso Internazionale Pro-Vita del 6-8 novembre 2009 – considera, le morti provocate dall’aborto legale, un delitto di lesa umanità che, per numero ed estensione, si propone venga definito d’ora in poi “mega-genocidio”[3].

In Italia, dall’introduzione della legge 194 (22 maggio 1978), sono stati finanziati dallo Stato circa 5 milioni e mezzo di aborti. I dati ufficiali delle Ivg, diffusi dalle relazioni ministeriali annuali, indicano un incremento degli aborti legali fino al 1982 che ha fatto registrare il picco massimo (187.752 Ivg nel 1979, 220.263 nel 1980, 224.377 nel 1981 e 234.377 nel 1982), e alti livelli di Ivg fino al 1987 in cui le interruzioni sono state 191.469. Più avanti gli aborti legali hanno iniziato a calare in maniera significativa, arrivando nel 2005 a 129.588, nel 2010 a 115.981, nel 2012 a 105.968. Questo decremento delle interruzioni, registrato soprattutto negli ultimi anni, è periodicamente invocato dai sostenitori dell’aborto (e non solo) a dimostrazione del fatto che la 194 sia una buona legge, perché grazie alla legalizzazione dell’aborto si sarebbe riusciti a ridurre il ricorso all’aborto volontario. Ma in questa attestazione ci sono molte cose che non tornano.

Osserva, per esempio, Francesco Agnoli: “È impossibile pensare che una legge che sino al 1982, e anche dopo, ha determinato un progressivo aumento degli aborti, abbia, sempre lei, determinato poi un flusso inverso… senza che intervenisse nessuna modifica legislativa”[4], o Mario Palmaro che scrive: “Quand’anche l’aborto volontario diminuisse veramente, e non potremmo che rallegrarcene, questo non dipenderebbe certamente da una legge libertaria e permissiva come la 194. Sarebbe come dire che il fumo delle sigarette si combatte permettendo a tutti di fumare ovunque; o che la droga si sconfigge vendendola nelle tabaccherie; o che gli evasori fiscali si debellano promettendo che lo Stato non li punirà mai più. Non si può combattere l’aborto legalizzandolo, né ‘applicando bene’ una legge che è stata votata, approvata e applicata per introdurre il principio di autodeterminazione della donna e per consacrare il ‘diritto di scelta’. Una tossina, quest’ultima, così perniciosa che oggi perfino in ambienti cattolici si tende a definire l’aborto una ‘scelta della donna’ e a considerare compito della comunità cristiana permettere alla donna di ‘scegliere in un clima sereno’”[5]. Continua Palmaro: “Che l’aborto sia in proporzione alle gravidanze stabile o addirittura in aumento lo conferma il fatto che il numero di aborti per ogni 1000 nati vivi è ormai da anni arroccato intorno ai 250-270 casi, un rapporto proporzionale impressionante, che rende il grembo di una donna italiana un luogo pericolosissimo per il nascituro, che in 1 caso su 4 non verrà fatto nascere deliberatamente”. Se, in questi anni, sono avvenuti “molti ‘salvataggi’ di bambini destinati all’aborto” lo si deve “al lavoro encomiabile dei Centri di Aiuto alla Vita, di Telefono Sos Vita e di molti altri anonimi difensori della vita”, anche se – precisa Palmaro -, questa verità “non va sopravvalutata nei suoi risultati quantitativi, che restano pur sempre assai modesti sotto il profilo statistico”.

Ma, quando si prende in esame la supposta diminuzione degli aborti, bisogna considerare anche altri elementi, come il fatto che, nonostante l’aborto legale, continuano ad esserci lo stesso donne che ricorrono all’aborto clandestino sia chirurgico che chimico (Cytotec). Come abbiamo precedentemente visto, le stime ufficiali, ferme tuttora al 2005, parlano di 15-20mila aborti illegali annui. E c’è pure da contemplare la questione dell’aumento degli aborti spontanei, che dal 1982 sono cresciuti di 17mila casi annui: un’anomalia che da più parti si ritiene essere associata all’aumento del ricorso all’aborto illegale.

A questo numero indeterminabile di interruzioni, deve essere anche aggiunto quello degli aborti nascosti e inconsapevoli provocati dai contraccettivi artificiali – ormonali (pillola anticoncezionale: s. v. “fughe ovulatorie”) e meccanici (spirale) – e dai cosiddetti “contraccettivi d’emergenza” (pillola “del giorno dopo” e dei “cinque giorni dopo”). Aborti “Inconsapevoli” perché la maggior parte delle donne che fa uso di questi dispositivi non sa che hanno anche un effetto abortivo, ovvero che in caso di concepimento agiscono con un’azione antinidatoria, cioè mediante la creazione di un ambiente uterino ostile all’impianto, che condanna a morte certa l’embrione formatosi. E “nascosti”, perché – anche avendo questa consapevolezza – è impossibile stabilire se, nonostante l’impiego del contraccettivo estroprogestinico o meccanico, si sia verificata lo stesso un’ovulazione e, quindi – in caso di rapporto – un possibile concepimento; o se il concepimento si sia verificato nonostante l’impiego di una “pillola di emergenza” dopo un rapporto “a rischio”, motivo per cui, in entrambe le situazioni, l’azione delle pillole abbia determinato un precocissimo aborto.

Scrive al riguardo Palmaro: “La diffusione dell’aborto chimico toglie ‘lavoro’ all’aborto chirurgico, riducendo inevitabilmente il numero di donne che ricorrono alla 194 e che quindi devono andare in ospedale. C’è un travaso invisibile, insomma, che va dall’aborto chirurgico a quello chimico, fatto di pillole falsamente definite contraccettive, di spirali o IUD, di usi impropri di farmaci che sciaguratamente miscelati producono effetti abortivi. Nessuno è in grado di misurare con precisione questa galassia, ma una cosa è certa: è consistente, e comporta decine di migliaia di aborti invisibili all’anno. Basti un dato su tutti: 1000 confezioni di Norlevo – la pillola del giorno dopo – vendute in farmacia in Italia ogni giorno fanno 360.000 confezioni all’anno. Che non significano altrettanti aborti, ma certo ne implicano un numero molto rilevante, che nessuno, nemmeno le donne che hanno preso la pillola, potranno mai stimare con precisione”.

Pur essendo impossibile quantificare con esattezza il numero di questi aborti, c’è chi ha provato ad elaborare alcune stime. La dottoressa francese Thérèse Gillaizeau Amiot ha calcolato che ai 50 milioni di aborti praticati ogni anno nel mondo debbano essere sommati circa 4 milioni di aborti “farmaceutici” (pillole del giorno dopo), e addirittura 460 milioni di aborti dovuti all’uso della spirale[6]. Sono decine di milioni le donne che usano lo IUD nel mondo, di cui circa 2 milioni e mezzo solo in Francia. In Italia, i ginecologi dell’Aigoc (Associazione italiana Ginecologi Ostetrici Cattolici), hanno invece provato a stimare i “cripto-aborti” collegati all’uso di Levonorgestrel (pillola del giorno dopo). Lo studio comparativo, che ha messo in relazione le confezioni di “pillole d’emergenza” vendute in un anno in Italia (350mila), con il tasso di concepimento atteso e il numero di gravidanze attese per fallimento del metodo, ha mostrato il risultato finale di “69.930 concepiti abortiti in un anno”, come ha reso noto il ginecologo Angelo Francesco Filardo – socio fondatore Aigoc – che ha puntualizzato: “L’aborto sta cambiano aspetto, non è più registrabile negli ospedali ma è sempre più diffuso”[7].

In sostanza, la tanto propagandata diminuzione del numero degli aborti è solo apparente. Se si va a considerare il fenomeno nella sua totalità e portata, provando a fare un computo che comprenda, oltre agli aborti legali praticati negli ospedali, anche tutti gli altri che rimangono fuori dal dato ufficiale, si ottiene un totale molto più elevato, e probabilmente persino superiore ai livelli più alti registrati negli anni ’80.

La legalizzazione quindi ha permesso di togliere all’aborto il carattere di gravità e drammaticità che aveva sempre avuto (anche per le donne che si rivolgevano alle “mammane”), trasformandolo in un atto banale e ricorrente. Di banalizzazione dell’aborto parla anche Valter Tarantini, ginecologo abortista che esegue interruzioni di gravidanza da quando la 194 è entrata in vigore, arrivando ad una media di 300 aborti l’anno. In una intervista del settimanale Tempi[8], Tarantini spiega cosa è cambiato a trent’anni dall’entrata in vigore della legge. “Oggi l’aborto non è più l’estrema ratio – osserva il ginecologo – interrompere la gravidanza è diventata una cosa normalissima, anzi, meno importante delle altre. Prima lo si faceva per combattere la morale. Il frutto che vedo oggi è che la morale non c’è più e che l’80% delle mie pazienti sono recidive. Ogni paziente ha avuto in media dai tre ai sei aborti. Ma ho incontrato anche una donna che era alla quarantesima Ivg”. Gli aborti, insomma, non sono per nulla diminuiti dopo la legalizzazione, anzi – prosegue Tarantini –, proprio grazie alla 194, per molte donne l’Ivg è diventata addirittura un mezzo di controllo delle nascite, un mero strumento contraccettivo: “Le peggiori recidive sono ricche, istruite e sanno benissimo cos’è la contraccezione, ma per loro l’aborto è un fatto così banale che è uguale a prendere la pillola, non c’è differenza. Anzi per alcune è meglio. Mi dicono: ‘Sa dottore la pillola fa male, mi fa ingrassare’, e siccome la contraccezione richiede impegno, l’aborto gli sembra più veloce ancora. Alcune avranno anche problemi psicologici, ma la maggior parte pensa solo alla cosa più comoda… Perciò dico che questa legge controlla le nascite e che sbaglia chi dice che, grazie alla sua buona applicazione, gli aborti sono diminuiti. Se li contiamo in rapporto ai bambini nati si vede che non hanno fatto che aumentare”. “Che la 194 sia un fallimento è un’evidenza – prosegue Tarantini -, anche se applicassimo al meglio la prima parte potenziando la prevenzione e i consultori. Puoi cercare qualsiasi risoluzione, ma il problema è che se una non pensa che la vita del figlio sia più importante di tutti i problemi non si risolve nulla. Prima avere bambini era tutto, i nostri vecchi davano la vita ed erano più contenti di noi. Mi chiedo perché sia sparito tutto questo. Perché si sia perso il senso della vita. Faccio degli esempi. Una ragazza di 25 anni è arrivata con l’amica ridacchiando a chiedere l’Ivg. Vedono il bambino nel monitor e iniziano a ridere: ‘Che carino – dicevano – guarda come si muove’. Oppure penso a una che mi disse: ‘Dottore non è che mi lascia la foto dell’ecografia come ricordo?’. Per non parlare delle domande più frequenti: ‘Dottore era maschio o femmina? Quando posso avere rapporti sessuali? Quando posso mangiare?’”.

Tarantini osserva anche che, nella stragrande maggioranza delle richieste di aborto, non sussistono affatto le condizioni previste dalla legge per accedere all’aborto, secondo le quali la donna può interrompere la gravidanza se sussiste “un serio pericolo per la salute fisica o psichica”: “Formalmente una donna un motivo lo trova sempre – rivela il ginecologo -. Tempo fa venne da me una coppia giovane e benestante che aveva deciso di abortire il primo figlio. Domandai perché. Mi risposero che era un po’ presto per avere figli. ‘E quando avete intenzione di averne?’, chiesi. ‘Mah, l’anno prossimo’, risposero. È chiaro che in quel caso il motivo non sussisteva, ma ne hanno trovato uno. Ti dicono che se non lo fai si buttano giù dalla finestra, che gli rovini la carriera. Per questo tanti hanno iniziato a fare obiezione. Scappano tutti”.

Le frequenti recidive e l’inesistenza, pressoché costante, di “un serio pericolo per la salute”, hanno spinto Tarantini a proporre, in sede politica, che l’Ivg sia esclusa dalle prestazioni mediche gratuite fornite dal Servizio Sanitario Nazionale: “Non vedo infatti perché il contribuente debba pagare 1.300 euro a una persona che non è malata, sta bene e non ha problemi”. E 1.300 euro per 5 milioni e mezzo di aborti in 35 anni, fa’ una cifra superiore ai 7 miliardi di euro, a cui deve essere aggiunto il costo pagato per l’aborto chimico (costo delle confezioni di Ru486, dei ricoveri obbligatori, delle visite di controllo,…): una cifra enorme – uscita dalle casse dello Stato, e perciò finanziata con le tasse pagate dai cittadini – spesa per una pratica mortifera che non cura nessuna malattia.

Nell’intervista si parla anche di fondi stanziati per aiutare le meno abbienti – come avviene per esempio in Lombardia -, che potrebbero essere indotte ad abortire per problemi economici, un’iniziativa certamente importante e preziosa ma che, tuttavia – commenta Tarantini -, “non risolve il problema” perché “quella economica è solo una motivazione in più, non la principale… Le più incallite sono benestanti. Le extracomunitarie sono forse le uniche che sono dilaniate dal dramma. Le recidive, poi, l’assistente sociale non lo vogliono nemmeno vedere. Un figlio non lo tieni per un assegno, lo tieni per altro. Il problema è a monte. Il punto è il rifiuto della maternità”.

Che la questione economica non sia la motivazione decisiva nell’ambito delle richieste d’aborto, lo mostra anche l’analisi del dato relativo al tasso di abortività che, per esempio, in Italia – osserva Palmaro – risulta essere più elevato proprio nelle regioni con condizioni economiche generali buone: in Liguria ci sono 294 aborti ogni 1000 nati (1 su 3 nati), in Emilia Romagna 258 ogni 1000 (1 su 4 nati), in Piemonte 256 su 1000 (anche qui 1 su 4); mentre in Basilicata “solo” 140 su 1000 (1 ogni 7 nati). Il mito secondo cui le donne ricorrerebbero all’aborto perché non hanno mezzi economici per crescere un bambino, è stato sfatato anche da uno studio italiano a più firme (Puccetti, Noia, Oriente, Natale e Di Pietro) presentato il 9 ottobre 2012 al congresso mondiale della Figo (Federazione internazionale dei ginecologi e ostetrici). Gli autori hanno dimostrato che, negli Stati Usa in cui vi sono più donne sotto il livello di povertà, si ricorre di meno all’aborto, rispetto agli Stati in cui le donne hanno un reddito più alto; e che le interruzioni di gravidanza risultano essere più diffuse negli Stati dove l’accesso all’aborto è più facile[9].

 

CONCLUSIONI

La legalizzazione dell’aborto, in Italia e nel mondo, non ha portato a niente di buono essendosi dimostrata nei fatti un disastro su tutti i fronti. Non solo non ha permesso di sconfiggere l’aborto clandestino e i pericoli per la salute delle donne – come abbiamo ampiamente visto negli articoli precedenti -, ma ha fatto sì che l’interruzione di gravidanza divenisse una pratica banale e ricorrente, portando ad un incremento abnorme del numero degli aborti.

In appena quarant’anni, l’aborto legale è riuscito a fare dell’uccisione dei bimbi non-nati il più vasto e crudele genocidio della storia dell’umanità, e del grembo materno il luogo più pericoloso per la vita di un bambino; e tutto questo senza alcun giovamento per la salute delle donne, essendo che le conseguenze sulla salute fisica e psichica non sono peculiarità esclusive dell’aborto clandestino, ma della pratica abortiva in sé. Ma l’aborto non si è abbattuto unicamente sui nascituri e sulle madri, poiché i suoi effetti si fanno sentire anche sui familiari, in particolare i figli nati, e sui padri dei bambini abortiti. Abbiamo visto che l’aborto intacca i cinque elementi chiave della mascolinità, deresponsabilizzando e svirilizzando l’uomo.

Parallelamente all’incremento del numero degli aborti si è sviluppato un business miliardario che, mentre si arricchisce sul sangue innocente e sulla pelle delle donne – sia nell’ambito delle interruzioni legali, che clandestine (mai eliminate dalla legge) -, infligge alla vita piccola e indifesa un ulteriore ignobile affronto, arrivando – per così dire – fino ad “infierire sul cadavere”, lì dove i corpi dei bimbi abortiti sono usati come mera materia prima per la ricerca scientifica, la fabbricazione di vaccini, orride medicine “miracolose”, creme di bellezza. Mentre il disprezzo per il bimbo concepito – propriamente insito nella legge – ha permesso alla disumanità di raggiungere livelli di crudeltà estremi, lì dove i bimbi nati vivi dopo l’aborto sono sgozzati, soffocati, tritati, bruciati, decapitati… o – come avviene nelle cliniche legali americane – “abortiti a nascita parziale”.

Ora, come tutto questo possa definirsi un bene, risulta assai difficile da capire. Di fronte ad affermazioni sperticate sulla bontà delle leggi che hanno legalizzato l’aborto, affermazioni che sbeffeggiano alla grande la realtà dei fatti come, per esempio, “la legalizzazione dell’Ivg ha eliminato la piaga dell’aborto clandestino” o “la 194 è una buona legge” basta solo fare in modo che sia “applicata bene, anche nelle sue parti disattese”, non c’è che da rimanere esterrefatti.

La verità è che la legalizzazione dell’aborto (male minore) è stata una scelta sciagurata, che non solo non ha consentito di raggiungere l’obiettivo prefissato: sconfiggere l’aborto clandestino e i conseguenti pericoli per la vita della donna (male maggiore), ma ha addirittura permesso al male di espandersi oltre ogni misura e immaginazione; di diramarsi in ogni sua declinazione fisica, psicologica, spirituale, morale, sociale; di colpire tutti: donne, uomini, bambini; di fare del mondo un luogo più crudele, cinico, barbaro, inospitale, disperato, sofferente, disumano.

Questo è ciò che ha fatto la legalizzazione dell’aborto, questo è il tragico risultato di una decisione che ha alla radice la scelta del compromesso con il male. Vengono in mente le parole rivelatrici, e sempre valide, dello scrittore francese Ernest Hello (1828-1885), che nell’opera “L’homme” del 1872, così scrive: “Ogni compromesso concluso con il male somiglia non solo al suo trionfo parziale, ma al suo trionfo completo, giacché il male non chiede sempre di cacciare il bene, ma vuole il permesso di coabitare con lui. Un istinto segreto lo avverte che chiedendo qualcosa, chiede tutto. Appena non lo si odia più, esso si sente adorato”.

È proprio questo, in ultima analisi, il vero grande “successo” della legalizzazione dell’aborto: il trionfo totale del male. Finché ci si ostinerà a non riconoscere questa realtà, a non riconoscere che si è commesso un errore clamoroso, che si è preso un abbaglio colossale con la prospettiva della legalizzazione come “male minore”, finché – in sostanza – non si ricomincerà a chiamare il male per quello che è: male e basta, senza l’aggiunta di aggettivi di grado, poco o niente potrà essere fatto per invertire la rotta della disumanità e della distruzione in cui ci si è incamminati ormai da troppi anni, con il rischio aggiuntivo di continuare a perpetuare l’errore anche nelle altre pressanti questioni biopolitiche che oggi incombono.

 

Note:

[1] Xavier M.A. Dor, “Contraccezione, aborto e l’ideologia”, www.federvitapiemonte.it, Convegno “Contraccezione e aborto”, anno 2002.

[2] Antonio Socci, Il genocidio censurato, Piemme, Casale Monferrato 2006, p. 80.

[3] “Contro l’aborto servono ‘soluzioni razionali’”, www.zenit.org, 9 novembre 2009, www.zenit.org/article-20249?l=italian.

[4] F. Agnoli, “Le cifre sull’aborto: prima e dopo la legge 194”, www.marciaperlavita.it.

[5] Mario Palmaro, “Sembra che l’aborto cali. Sembra”, www.labussolaquotidiana.it, 16 dicembre 2011.

[6] Citato da A. Socci, op. cit., p. 22.

[7] Emanuela Vinai, “L’aborto ‘nascosto’ delle giovanissime”, Avvenire, 1 novembre 2012.

[8] Benedetta Frigerio, “Ivg. Il ‘diritto’ che ci ha reso barbari”, Tempi n. 24, 23 giugno 2010.

[9] Tommaso Scandroglio, “Ricerca italiana smonta i ‘miti’”, Avvenire, 1 novembre 2012

 

Il vero grande “successo” della legalizzazione dell’aborto

 

Se non fossi stata amata così tanto non sarei viva
La testimonianza di Gianna Emanuela Molla, in un convegno in memoria della madre canonizzata
Di Irene Bertoglio
MAGENTA, 30 Aprile 2013 (Zenit.org) – «Se dovete decidere fra me e il bimbo, nessuna esitazione: scegliete, e lo esigo, il bimbo». L’esortazione appartiene a Santa Gianna Beretta Molla, che l’Associazione Italiana Ginecologi Ostetrici Italiani (AGOIC), ha voluto ricordare proprio alla vigilia del 51° anniversario dalla morte nella sua città natale, Magenta.
Per l’occasione sono stati invitati gli esponenti più solerti nella difesa della vita fin dal suo concepimento, da illustri medici a magistrati a testimoni di vita vissuta.
Lo scopo dell’incontro dal titolo Il tempo del dono: scienza, etica e diritto per la vita nascente è stato esposto dal prof. Piero Capetta, già Ordinario di Ginecologia e Ostetricia all’Università di Milano: far riflettere sul riconoscimento del volto umano dell’embrione in un periodo storico in cui il riduzionismo scientifico e le manipolazioni ideologiche hanno contribuito a produrre una mentalità contro la vita.
Il prof. Giuseppe Noia, docente di Medicina dell’Età Prenatale all’Università Cattolica di Roma, ha affermato che «nella fecondazione, due cellule sessuali si fondano, creando una relazione», mentre i tentativi di camuffare la dignità dell’embrione partono sempre da una divisione, come nel caso in cui «la fecondità viene separata dalla sessualità».
Il dott. Angelo Filardo ha aggiunto che il metodo naturale di Billings, «se seguito regolarmente, porta a una mentalità di apertura alla vita, ma oggi poco se ne parla perché le multinazionali delle contraccezioni hanno notevoli fondi economici».
Principale scopo del convegno è stato quello di diffondere una vera conoscenza scientifica per contrastare l’informazione superficiale dilagante; in questa direzione è andato anche l’interessante intervento del prof. Luigi Frigerio, presidente della Società Italiana di Chirurgia Ginecologica.
Il tema affrontato è quello dei tumori in gravidanza, al fine di porre attenzione alla protezione del feto dalle cure oncologiche. Una questione particolarmente delicata riguarda la patologia prenatale del Trisoma 18, trattato dalla Prof.ssa Patrizia Vergani, la quale ha sottolineato l’importanza di un counceling non affrettato ma realistico da parte del personale medico, che non proponga soltanto l’aborto come “soluzione” alla situazione drammatica, in quanto «non è comunque corretto affermare che sia una condizione letale».
Il prof. Noia ha integrato l’argomento illustrando l’esistenza di terapie fetali invasive che permettono di ridare speranza in casi di patologie molto gravi.
Proseguendo con la stessa scientificità degli interventi precedenti, il dott. Renzo Puccetti ha approfondito la materia delle pillole contraccettive, evidenziandone rischi spesso e volentieri tenuti nascosti all’opinione pubblica.
L’informazione consapevole dovrebbe essere tra i punti programmatici cardine dello staff medico, come ha evidenziato il dott. Antonio Oriente, vicepresidente AIGOC: «noi medici, e non solo cattolici, abbiamo giurato di tutelare la vita e dobbiamo proclamare la verità».
Pertanto, alla luce di numerosi studi sul rapporto tra diversi tumori e aborto indotto, Oriente ha affermato che «esiste tra i medici una disonestà intellettuale: se gli studi ci sono, perché non vengono divulgati?».
Altro attuale tema affrontato durante la giornata è quello sull’obiezione di coscienza. A parere del Dott. Nicola Natale, Presidente di Scienza e Vita di Milano, «gli obiettori di coscienza sono da sempre accusati di essere troppi, ma statisticamente non possono essere considerati “colpevoli” delle diminuzioni delle IVG […] Gli obiettori di coscienza danno fastidio alla società perché questa si accorge di non poter regolare tutte le azioni dell’uomo».
Il dott. Giacomo Rocchi, magistrato, ha aggiunto che l’obiezione di coscienza è un «diritto inviolabile» e che «nessun medico può essere obbligato a sopprimere un embrione». Ha fatto poi notare come oggi vi sia una legittima attenzione verso il mondo animale, non altrettanto fervente purtroppo nei confronti della vita embrionale: «esiste l’obiezione di coscienza verso le sperimentazioni sugli animali e contemporaneamente vi è un’aggressione continua verso l’obiezione di coscienza nei confronti degli embrioni…».
Informare correttamente sull’aborto significa anche discutere della sindrome post-aborto e dei rischi dell’aborto indotto per la salute psichica della donna. La psicoterapeuta Cinzia Baccaglini, trattando di questo aspetto, oggi più che sottovalutato, ha sottolineato l’importanza di non “angelizzare” il bambino abortito e di non oggettivare il seppellimento tramite pseudo-riti con scarpine e biberon.
Le due testimonianze di Carlo Mocellin, marito della Serva di Dio Maria Cristina Cella, e della dott.ssa Gianna Emanuela Molla, figlia della Santa, hanno rappresentato il gioiello culturale e spirituale dell’evento. Carlo ha raccontato tra le altre cose che «Cristina voleva il meglio per sé e si chiedeva quale fosse la sua vocazione», scoprendo così che «quello che desidera il nostro cuore è vero».
Cristina, al pari di Santa Gianna, non ha voluto curare un tumore per non danneggiare il figlio nel grembo. Gianna Emanuela, frutto del dono incondizionato della sua Santa madre, ha testimoniato commossa: «Se non fossi stata amata così tanto non sarei viva».
Infine, come ha ricordato don Edoardo Algeri, «non c’è niente di più bello per un bambino dell’essere accolto tramite il dono di se stessi come stile di vita e di dedizione incondizionata e gratuita».
http://www.famiglienumerosecattoliche.it/Spiritualita.asp?page=15
«Se dovete decidere fra me e il bimbo, nessuna esitazione: scegliete, e lo esigo, il bimbo».

«Se dovete decidere fra me e il bimbo, nessuna esitazione: scegliete, e lo esigo, il bimbo». L’esortazione appartiene a Santa Gianna Beretta Molla, che l’Associazione Italiana Ginecologi Ostetrici Italiani (AGOIC), ha voluto ricordare proprio alla vigilia del 51° anniversario dalla morte nella sua città natale, Magenta.

Per l’occasione sono stati invitati gli esponenti più solerti  nella difesa della vita fin dal suo concepimento, da illustri medici a magistrati a testimoni di vita vissuta.

Lo scopo dell’incontro dal titolo Il tempo del dono: scienza, etica e diritto per la vita nascente è stato esposto dal prof. Piero Capetta, già Ordinario di Ginecologia e Ostetricia all’Università di Milano: far riflettere sul riconoscimento del volto umano dell’embrione in un periodo storico in cui il riduzionismo scientifico e le manipolazioni ideologiche hanno contribuito a produrre una mentalità contro la vita.

Il prof. Giuseppe Noia, docente di Medicina dell’Età Prenatale all’Università Cattolica di Roma, ha affermato che «nella fecondazione, due cellule sessuali si fondano, creando una relazione», mentre i tentativi di camuffare la dignità dell’embrione partono sempre da una divisione, come nel caso in cui «la fecondità viene separata dalla sessualità».

Il dott. Angelo Filardo ha aggiunto che il metodo naturale di Billings, «se seguito regolarmente, porta a una mentalità di apertura alla vita, ma oggi poco se ne parla perché le multinazionali delle contraccezioni hanno notevoli fondi economici».

Principale scopo del convegno è stato quello di diffondere una vera conoscenza scientifica per contrastare l’informazione superficiale dilagante; in questa direzione è andato anche l’interessante intervento del prof. Luigi Frigerio, presidente della Società Italiana di Chirurgia Ginecologica.

Il tema affrontato è quello dei tumori in gravidanza, al fine di porre attenzione alla protezione del feto dalle cure oncologiche. Una questione particolarmente delicata riguarda la patologia prenatale del Trisoma 18, trattato dalla Prof.ssa Patrizia Vergani, la quale ha sottolineato l’importanza di un counceling non affrettato ma realistico da parte del personale medico, che non proponga soltanto l’aborto come “soluzione” alla situazione drammatica, in quanto «non è comunque corretto affermare che sia una condizione letale».

Il prof. Noia ha integrato l’argomento illustrando l’esistenza di terapie fetali invasive che permettono di ridare speranza in casi di patologie molto gravi.

Proseguendo con la stessa scientificità degli interventi precedenti, il dott. Renzo Puccetti ha approfondito la materia delle pillole contraccettive, evidenziandone rischi spesso e volentieri tenuti nascosti all’opinione pubblica.

L’informazione consapevole dovrebbe essere tra i punti programmatici cardine dello staff medico, come ha evidenziato il dott. Antonio Oriente, vicepresidente AIGOC: «noi medici, e non solo cattolici, abbiamo giurato di tutelare la vita e dobbiamo proclamare la verità».

Pertanto, alla luce di numerosi studi sul rapporto tra diversi tumori e aborto indotto, Oriente ha affermato che «esiste tra i medici una disonestà intellettuale: se gli studi ci sono, perché non vengono divulgati?».

Altro attuale tema affrontato durante la giornata è quello sull’obiezione di coscienza. A parere del Dott. Nicola Natale, Presidente di Scienza e Vita di Milano, «gli obiettori di coscienza sono da sempre accusati di essere troppi, ma statisticamente non possono essere considerati “colpevoli” delle diminuzioni delle IVG […] Gli obiettori di coscienza danno fastidio alla società perché questa si accorge di non poter regolare tutte le azioni dell’uomo».

Il dott. Giacomo Rocchi, magistrato, ha aggiunto che l’obiezione di coscienza è un «diritto inviolabile» e che «nessun medico può essere obbligato a sopprimere un embrione». Ha fatto poi notare come oggi vi sia una legittima attenzione verso il mondo animale, non altrettanto fervente purtroppo nei confronti della vita embrionale: «esiste l’obiezione di coscienza verso le sperimentazioni sugli animali e contemporaneamente vi è un’aggressione continua verso l’obiezione di coscienza nei confronti degli embrioni…».

Informare correttamente sull’aborto significa anche discutere della sindrome post-aborto e dei rischi dell’aborto indotto per la salute psichica della donna. La psicoterapeuta Cinzia Baccaglini, trattando di questo aspetto, oggi più che sottovalutato, ha sottolineato l’importanza di non “angelizzare” il bambino abortito e di non oggettivare il seppellimento tramite pseudo-riti con scarpine e biberon.

Le due testimonianze di Carlo Mocellin, marito della Serva di Dio Maria Cristina Cella, e della dott.ssa Gianna Emanuela Molla, figlia della Santa, hanno rappresentato il gioiello culturale e spirituale dell’evento. Carlo ha raccontato tra le altre cose che «Cristina voleva il meglio per sé e si chiedeva quale fosse la sua vocazione», scoprendo così che «quello che desidera il nostro cuore è vero».

Cristina, al pari di Santa Gianna, non ha voluto curare un tumore per non danneggiare il figlio nel grembo. Gianna Emanuela, frutto del dono incondizionato della sua Santa madre, ha testimoniato commossa: «Se non fossi stata amata così tanto non sarei viva».

Infine, come ha ricordato don Edoardo Algeri, «non c’è niente di più bello per un bambino dell’essere accolto tramite il dono di se stessi come stile di vita e di dedizione incondizionata e gratuita».

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“Se non fossi stata amata così tanto non sarei viva”

La testimonianza di Gianna Emanuela Molla, in un convegno in memoria della madre canonizzata

«Se dovete decidere fra me e il bimbo, nessuna esitazione: scegliete, e lo esigo, il bimbo». L’esortazione appartiene a Santa Gianna Beretta Molla, che l’Associazione Italiana Ginecologi Ostetrici Italiani (AGOIC), ha voluto ricordare proprio alla vigilia del 51° anniversario dalla morte nella sua città natale, Magenta.

Per l’occasione sono stati invitati gli esponenti più solerti  nella difesa della vita fin dal suo concepimento, da illustri medici a magistrati a testimoni di vita vissuta.

Lo scopo dell’incontro dal titolo Il tempo del dono: scienza, etica e diritto per la vita nascente è stato esposto dal prof. Piero Capetta, già Ordinario di Ginecologia e Ostetricia all’Università di Milano: far riflettere sul riconoscimento del volto umano dell’embrione in un periodo storico in cui il riduzionismo scientifico e le manipolazioni ideologiche hanno contribuito a produrre una mentalità contro la vita.

Il prof. Giuseppe Noia, docente di Medicina dell’Età Prenatale all’Università Cattolica di Roma, ha affermato che «nella fecondazione, due cellule sessuali si fondano, creando una relazione», mentre i tentativi di camuffare la dignità dell’embrione partono sempre da una divisione, come nel caso in cui «la fecondità viene separata dalla sessualità».

Il dott. Angelo Filardo ha aggiunto che il metodo naturale di Billings, «se seguito regolarmente, porta a una mentalità di apertura alla vita, ma oggi poco se ne parla perché le multinazionali delle contraccezioni hanno notevoli fondi economici».

Principale scopo del convegno è stato quello di diffondere una vera conoscenza scientifica per contrastare l’informazione superficiale dilagante; in questa direzione è andato anche l’interessante intervento del prof. Luigi Frigerio, presidente della Società Italiana di Chirurgia Ginecologica.

Il tema affrontato è quello dei tumori in gravidanza, al fine di porre attenzione alla protezione del feto dalle cure oncologiche. Una questione particolarmente delicata riguarda la patologia prenatale del Trisoma 18, trattato dalla Prof.ssa Patrizia Vergani, la quale ha sottolineato l’importanza di un counceling non affrettato ma realistico da parte del personale medico, che non proponga soltanto l’aborto come “soluzione” alla situazione drammatica, in quanto «non è comunque corretto affermare che sia una condizione letale».

Il prof. Noia ha integrato l’argomento illustrando l’esistenza di terapie fetali invasive che permettono di ridare speranza in casi di patologie molto gravi.

Proseguendo con la stessa scientificità degli interventi precedenti, il dott. Renzo Puccetti ha approfondito la materia delle pillole contraccettive, evidenziandone rischi spesso e volentieri tenuti nascosti all’opinione pubblica.

L’informazione consapevole dovrebbe essere tra i punti programmatici cardine dello staff medico, come ha evidenziato il dott. Antonio Oriente, vicepresidente AIGOC: «noi medici, e non solo cattolici, abbiamo giurato di tutelare la vita e dobbiamo proclamare la verità».

Pertanto, alla luce di numerosi studi sul rapporto tra diversi tumori e aborto indotto, Oriente ha affermato che «esiste tra i medici una disonestà intellettuale: se gli studi ci sono, perché non vengono divulgati?».

Altro attuale tema affrontato durante la giornata è quello sull’obiezione di coscienza. A parere del Dott. Nicola Natale, Presidente di Scienza e Vita di Milano, «gli obiettori di coscienza sono da sempre accusati di essere troppi, ma statisticamente non possono essere considerati “colpevoli” delle diminuzioni delle IVG […] Gli obiettori di coscienza danno fastidio alla società perché questa si accorge di non poter regolare tutte le azioni dell’uomo».

Il dott. Giacomo Rocchi, magistrato, ha aggiunto che l’obiezione di coscienza è un «diritto inviolabile» e che «nessun medico può essere obbligato a sopprimere un embrione». Ha fatto poi notare come oggi vi sia una legittima attenzione verso il mondo animale, non altrettanto fervente purtroppo nei confronti della vita embrionale: «esiste l’obiezione di coscienza verso le sperimentazioni sugli animali e contemporaneamente vi è un’aggressione continua verso l’obiezione di coscienza nei confronti degli embrioni…».

Informare correttamente sull’aborto significa anche discutere della sindrome post-aborto e dei rischi dell’aborto indotto per la salute psichica della donna. La psicoterapeuta Cinzia Baccaglini, trattando di questo aspetto, oggi più che sottovalutato, ha sottolineato l’importanza di non “angelizzare” il bambino abortito e di non oggettivare il seppellimento tramite pseudo-riti con scarpine e biberon.

Le due testimonianze di Carlo Mocellin, marito della Serva di Dio Maria Cristina Cella, e della dott.ssa Gianna Emanuela Molla, figlia della Santa, hanno rappresentato il gioiello culturale e spirituale dell’evento. Carlo ha raccontato tra le altre cose che «Cristina voleva il meglio per sé e si chiedeva quale fosse la sua vocazione», scoprendo così che «quello che desidera il nostro cuore è vero».

Cristina, al pari di Santa Gianna, non ha voluto curare un tumore per non danneggiare il figlio nel grembo. Gianna Emanuela, frutto del dono incondizionato della sua Santa madre, ha testimoniato commossa: «Se non fossi stata amata così tanto non sarei viva».

Infine, come ha ricordato don Edoardo Algeri, «non c’è niente di più bello per un bambino dell’essere accolto tramite il dono di se stessi come stile di vita e di dedizione incondizionata e gratuita».

https://it.zenit.org/articles/se-non-fossi-stata-amata-cosi-tanto-non-sarei-viva/

Nasce l’Associazione Italiana Ginecologi Ostetrici Cattolici (AIGOC)

 

4/12/2009

Alla “Difesa della vita nascente” è dedicato il Convegno che la Scuola di Specializzazione in Ginecologia e Ostetricia dell’Università Cattolica di Roma promuove a 30 anni dall’inizio delle attività del Day hospital ostetrico del Gemelli, che si svolgerà sabato 5 dicembre nell’Aula Brasca del Policlinico universitario dell’Ateneo del Sacro Cuore (inizio ore 8.30). Una giornata di lavori, per fare il punto della situazione sulla difesa della vita prima, durante e dopo il concepimento, grazie all’incontro con laici, religiosi, esperti e soprattutto le famiglie e le testimonianze della associazioni che si battono per la difesa della vita. Presiedono il convegno i ginecologi della Cattolica Alessandro Caruso e Giuseppe Noia.

 

Il convegno è l’occasione per la presentazione dell’Associazione Italiana Ginecologi Ostetrici Cattolici (AIGOC). “L’associazione – anticipa il Presidente  Noia, responsabile del Centro di Diagnosi e Terapia Fetale del Policlinico Gemelli – nasce in un periodo storico della società italiana in cui il valore ‘vita’ in tutte le sue espressioni viene fortemente colpito”.

L’AIGOC intende inserirsi nell’attuale dibattito culturale, proponendo un linguaggio basato sui dati scientifici e sui fondamenti filosofici, giuridici e antropologici, per aprire spazi di riflessione sulla dignità della persona umana accettabili da credenti e non credenti perché fondati sull’evidence based medicine.

“Quello che aspetta l’Associazione – aggiunge Noia – è dunque, una grande sfida culturale nell’ambito dell’attuale emergenza educativa che ci proponiamo di affrontare non per agitare un vessillo di vittoria o di supremazia ideologica, ma per fare un servizio di chiarificazione del pensiero e di promozione del discernimento; non per alzare muri o steccati d’incomprensione, ma per costruire ponti di condivisione con la finalità di essere più consapevoli e più liberi e riappropriarci così del vero significato di umanità”.

http://www.saluteh24.com/il_weblog_di_antonio/2009/12/nasce-lassociazione-italiana-ginecologi-ostetrici-cattolici-aigoc.html

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