LA PERSONA UMANA
NELLA CULTURA CONTEMPORANEA

Roma, 16 novembre 2010

Policlinico Gemelli
Nel clima culturale della cosiddetta “terza cultura”,
molto ben definita da J. Brockman come la:
“…cultura dominata da scienziati e altri pensatori del
mondo empirico che, attraverso il proprio lavoro e i
propri scritti, stanno prendendo il posto degli intellettuali
tradizionali nel rendere visibili i più profondi
significati della nostra vita, ridefinendo chi e che cosa
noi siamo”, assistiamo continuamente a distorsioni e
manipolazioni sulla verità della persona umana.
Abbiamo sempre pensato che servire la verità fosse il
più alto ideale da attuare per chi opera nel campo
della scienza e della comunicazione. Come non ricordare il
“Medico” S.Giuseppe Moscati: “Ama la verità; mostrati
qual sei, e senza infingimenti e senza paure e
senza riguardi. E se la verità ti costa la persecuzione,
e tu accettala; e se il tormento, e tu sopportalo.
E se per la verità dovessi sacrificare te stesso e la tua
vita, e tu sii forte nel sacrificio”. Purtroppo sappiamo
anche che chi non ha “dimestichezza” con questa
“tensione interiore” a servire l’uomo e la sua dignità
non riesce a vedere la “grandezza” di questo servizio.
Il messaggio, quindi, non è solo quello di ammirare
le grandi conquiste della scienza ma di preoccuparsi
anche di “che cosa” persegue e “come” viene usata questa
scienza. È comprensibile l’enfatizzazione dei risultati
e dei successi, ma dobbiamo perseguire l’obiettivo di
aiutare tutti a riflettere per valutare i rischi e le derive
anti-uomo: rendere così i più consapevoli e liberi
nel capire la preziosità della verità della vita umana.
“La Verità vi farà liberi”: questo può avvenire solo se
si fa una rivisitazione epicritica e intellettualmente
onesta delle varie realtà culturali. La finalità dovrebbe
permettere a ciascuno di cogliere tutti gli aspetti di
discernimento possibili: le ambivalenze delle nuove
tecnologie, le metodologie rigorosamente scientifiche
spesso disattese, le finalità eugenistiche evidenti e
quelle mal celate, la frammentazione dell’etica.
Unico dev’essere l’obiettivo: la verità della persona umana.
Giuseppe Noia

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La difesa della vita nascente

30 anni al Day Hospital ostetrico del Policlinico Agostino Gemelli di Roma

ROMA, 5 dicembre 2009  

Policlinico  A. Gemelli

Il nostro tempo ci fa constatare quotidianamente una forma di schizofrenia culturale, dove accanto a proclami
di diverso tipo sulla difesa della dignità degli esseri umani e delle figure più deboli sul piano psico-sociale
troviamo altrettanti proclami e battaglie in favore della libertà incondizionata e individuale di ogni scelta, spesso
accompagnata da una assoluta indifferenza dinanzi alla vita debole e alla sua sacralità.
In un periodo storico della società italiana e della cultura prenatale in genere, in cui il valore
vita in tutte le sue espressioni viene fortemente colpito, proporre un linguaggio culturale basato sulle
ragioni della ragione scientifica e sulle ragioni della ragione filosofica, giuridica, antropologica, significa
proporre un linguaggio di riflessione sulla dignità della persona umana, accettabile da credenti e non credenti
perché fondato sull’evidenza. La grande emergenza educativa quindi, si pone come obiettivo il passaggio che porti
le coscienze dal livello “informazione”, spesso superficiale, al livello “conoscenza” con metodologie rigorose e
scientificamente corrette. Ecco perché è la forza della verità sulla persona umana la grande sfida culturale da
affrontare, non per agitare un vessillo di vittoria o di supremazia ideologica ma per fare un servizio di chiarificazione
del pensiero e di promozione del discernimento; non per alzare muri o steccati d’incomprensione ma per costruire
ponti di condivisione con la finalità di essere più consapevoli e più liberi e riappropriarci così del vero significato di 
“umanità”

Per visualizzare la Brochure CLICCA QUI Brochure dic 2009

 

Informare le donne è un dovere della Scienza e dello Stato

 

22 APRILE 2018

 

Gentile Direttore,

 

ho letto le affermazioni che l’Associazione Luca Coscioni insieme ad altri hanno fatto sulle asserite bugie dell’Associazione Pro Vita, sui rischi e sui danni che l’aborto volontario può causare alla salute delle donne. Premetto che opero come ginecologo da quasi 40 anni e quindi ho elementi esperienziali diretti sul vissuto fisico e psicologico di donne che hanno scelto l’interruzione volontaria di gravidanza e di donne, di coppie che hanno avuto aborti spontanei ripetuti (più di 500 coppie).

Il supporto psicoterapeutico, dopo aborti spontanei, aumenta il successo con figlio in braccio nelle successive gravidanze dal 32% al 72%. (Noia et al – Restoring gestational capacity in women with recurrent spontaneous miscarriages after clinical psychotherapy treatment – International Journal of Gynecology and Obstetrics (2009).

Per quanto riguarda il primo aspetto (complicazioni fisiche) constato che Gallo, Parachini e Pompili ammettano che anche l’aborto, come qualsiasi procedura medica e chirurgica, sia gravata da possibili complicazioni. Però sarebbe opportuno che alla donna che va a chiedere di abortire, oltre a parlarle in maniera generica di complicanze, qualcuno spiegasse loro queste complicanze, cui possono andare incontro, a partire da quelle più comuni a quelle più rare (la morte), come avviene sul bugiardino di qualsiasi farmaco acquistato in farmacia. E come ProVita ha fatto nel libretto.

Inoltre, nella relazione del 2015 (relativa ai dati del 2013) il Ministro della Salute scrive: “Dal 2013 il modello D12/Istat…Tuttavia, molte Regioni non hanno ancora aggiornato i loro sistemi di raccolta dati per poter riportare l’informazione in maniera completa e non è quindi possibile analizzare i risultati. Si raccomanda le Regioni di procedere alle modifiche necessarie nel più breve tempo possibile”.Questa stessa frase si ritrova anche nell’anno 2017 (4 anni dopo) per cui si può desumere che i numeri dei dati relativi alle complicazioni siano effettivamente sottostimati.

Tuttavia se assumiamo per l’anno 2014 la prevalenza di 7.4 per 1.000 IVG moltiplicando il numero delle complicazioni per il numero totale degli aborti volontari per

quell’anno, otteniamo la cifra considerevole di 721 pazienti con complicazioni da aborto volontario. Sarebbe quindi importante, per la piena consapevolezza della donna, riportare e informarla di questi dati.

Sul piano della capacità gestazionale, la rivista Human Reproduction nel 2012, riferisce che le donne con 3 o più aborti precedenti avevano probabilità 3 volte più alta di partorire un bambino prematuro. Per quanto riguarda le complicazioni relative alla mortalità materna, il Ministero della Salute afferma anche: “Si ricorda che purtroppo l’interruzione volontaria di gravidanza, come tutti gli interventi sanitari e il parto, non è esente da rischio di complicanze, fino al possibile decesso”. (Vedi relazione Ministero Salute, dati 2016 a pag. 44). Ora, visto che anche il Ministero della Salute ammette che l’aborto può provocare il decesso della donna, sarebbe opportuno che questa informazione non sia negata alla donna che chiede di abortire. Vediamo qualche cifra della mortalità materna legata all’aborto volontario nel mondo.

Secondo i dati del World Abortion Policies del 2011, delle Nazioni Unite, nei Paesi dove la legislazione dell’aborto è più restrittiva vi sono prevalenze di mortalità materne molto basse (Mauritius 15 morti su 100.000, Cile 16 morti per 100.000 aborti) mentre nei Paesi dove la legislazione è più liberale (Sud Africa 400 morti su 100.00, Nepal 830 su 100.000) le cifre di mortalità materne legate all’aborto sono molto alte. Per l’aborto farmacologico, poi, il numero delle morti da RU486 segnalate raggiunge la cifra di 27 come hanno pubblicato diversi autori tra cui Khoo et al Journal of Obstetrics and Gynaecology (2013).

Credo che ce ne sia abbastanza per affermare l’obbligo di informazione.

Sul secondo punto (rapporto aborto/maggior prevalenza di tumore al seno) è vero che c’è una certa letteratura che nega questa correlazione ma, è anche vero che ne esiste un’altra abbondante che conferma che la gravidanza a termine protegge dall’incidenza dei tumori al seno. Un lavoro recente pubblicato su Cancer Causes and Control (2013) evidenza che l’aborto indotto è significativamente associato al rischio di cancro al seno. In particolare: un aborto indotto aumenta il rischio di cancro al seno del 44%, due aborti del 76% e tre aborti dell’89%.La popolazione cinese è particolarmente adatta a queste meta analisi sia per l’enorme prevalenza di aborto volontario, sia per la numerosità della popolazione studiata (A meta-analysis of the association between induced abortion and breast cancer risk among Chinese females. Huang Y et Al. Cancer Causes & Control, 2013).

Gli studi della Lanfranchi sulla suscettibilità delle mammelle a istotipo 3 e 4 che maturano dopo 32 settimane in forme protettive dal cancro al seno, sono dati accettati da moltissimi ricercatori e, trovano fondamento scientifico nell’evoluzione istologica e funzionale delle cellule mammarie durante la gravidanza; anzi, aver avuto gravidanze a termine, fa parte dei punteggi di protezione insieme all’allattamento e il menarca dopo 10 anni. Joel Brind, professore di biologia e endocrinologia al Baruch College di New York e co-fondatore del Breast Cancer Prevention Institute, ha evidenziato sul Journal of Epidemiol Community Health una «probabilità del 30% in più di sviluppare cancro al seno» per le donne che hanno avuto aborti indotti.

Il terzo aspetto, che riguarda l’aborto volontario e la salute mentale delle donne ha bisogno di una piccola premessa. Non c’è peggior servizio all’umanità, qualunque sia la fede di appartenenza, o il suo credo politico, o la sua visione filosofica e antropologica di quella pseudo-cultura scientifica che, per far prevalere la sua convinzione, cerca di silenziare e di sminuire l’importanza di tutto il patrimonio di conoscenza sulla verità della persona umana, sull’essere umano, unico e irripetibile che è ciascuno di noi. Ognuno di noi è stato un embrione e la scienza vera, veramente libera da influenze di lobbies e convinzioni anti umane lo ha sancito da molto tempo.

Allora bisognerebbe chiedersi: come è possibile che tutta questa dimensione simbiotica (il feto è addirittura medico della madre!), quando viene interrotta, possa non comportare conseguenze sul piano psicologico e fisico? Noi tutti soffriamo quando perdiamo una persona cara, fisicamente e psicologicamente: come è possibile che non si soffra quando si perde un figlio? Noi tutti sappiamo quanta solitudine del cuore abbiamo, quanta tristezza si verifica dopo un lutto. E perché la natura umana dovrebbe fare un distinguo in base ai centimetri e ai grammi del figlio che si perde? Infatti, la natura non fa questa distinzione: il tempo di elaborare la perdita di un embrione al 2° mese è sovrapponibile al tempo di elaborare la perdita di un uomo adulto. (Noia et al – International Journal of Gynecology and Obstetrics (2009).

Diventa, quindi, poco credibile affermare che la perdita di un figlio, qualunque siano le sue dimensioni sia irrilevante per la salute della donna, soprattutto se questo evento non avviene naturalmente ma come una precisa scelta volontaria della madre verso il figlio. Affermare che, sulla base di studi datati e controversi, non ci siano problematiche sulla salute psicologica delle donne, dopo un aborto volontario, è quanto di più anti scientifico si possa dire. A tal proposito elenco alcuni recentissime pubblicazioni (delle 50 selezionate) che riconoscono questa problematica di forte impatto sulla salute mentale della donna:
• Curley M & Johnston C (2013), The characteristics and severity of psychological distress after abortion among university students, Journal of Behavioral Health Services & Research 40(3):279-293.
• Olsson CA, Horwill E, Moore E, Eisenberg ME, Venn A et al. (2013), Social and emotional adjustment following early pregnancy in young Australian women: a comparison of those who terminate, miscarry, or complete pregnancy, J Adolesc Health 54(6):698-703.
• Sullins DP (2016), Abortion, substance abuse and mental health in early adulthood: Thirteen-year longitudinal evidence from the United States, SAGE Open Med 4:1-11.

Infine in una revisione meta analitica, il Dr Greg Pike, (Founding Director of Adelaide Centre for Bioethics and Culture, Australia, ABORTION AND WOMEN’S HEALTH An evidence-based review for medical professionals of the impact of abortion on women’s physical and mental health, April 2017) concludeva che le donne hanno diritto di essere informate di tutti i rischi associati all’aborto volontario e gli operatori sanitari hanno l’obbligo di fornire tutte le informazioni rilevanti.

In conclusione, prima di affermare che Pro Vita ha riportato dati non scientifici, bisognerebbe essere più prudenti e prima di dare del bugiardo a tantissimi gruppi nel mondo di eminenti scienziati (Pro Vita ha riportato quello che questi ricercatori hanno pubblicato), bisognerebbe essere più rispettosi e onesti intellettualmente. La scienza è veramente libera quando è vera e se vuole fare un servizio alle donne le deve informare per prevenire i danni fisici e psicologici. La salute delle donne è un bene prezioso da salvaguardare così come la capacità di procreare ma, espropriare le donne della verità di informazione equivale a rubare la loro salute, il loro corpo e il loro futuro, e soprattutto la loro dignità. Rubare beni materiali è grave ma, rubare l’anima a la dignità di una persona è un delitto contro l’umanità, tutta l’umanità.

Giuseppe Noia
Direttore Hospice Perinatale – Centro per le Cure Palliative Prenatali Policlinico Gemelli, Roma
Presidente A.I.G.O.C. (Associazione Italiana Ginecologi Ostetrici Cattolici) 

“Gesto di carità, per noi medici obiettori non cambia nulla “

Noia, presidente dei ginecologi e ostetrici cattolici italiani: in mala fede chi strumentalizza

di Fancesco Lo Dico

Il Mattino – 22-11-16

Papa Bergoglio non ha affatto sdoganato l’aborto, né lo ha derubricato a peccato di serie B. La gravità dell’interruzione di gravidanza, sia per chi la pratica che per chi la porta a termine, resta inalterata. Ciò che invece muta, è la misericordia che la Chiesa concede a chi sbaglia: sarà d’ora in poi più estesa ed accessibile  chi si pente, e intende redimersi”,Giuseppe Noia, primario dell’ Hospice perinatale del Policlinico Gemelli e presidente dell’Associazione Italiana Ginecologi Ostetrici Cattolici, invita a non strumentalizzare l’apertura di Francesco.

È possibile però che Bergoglio abbia voluto cercare di offrire una via di fuga a quei medici obiettori, che si imbattono in gravidanze difficili, come quelle frutto di violenza?

“Non esiste caso difficile alcuno, che possa giustificare l’annientamento della vita. Ma non si tratta in questo caso di una semplice obiezione religiosa o morale: è un fatto sostenuto da un’amplissima letteratura scientifica, che a bella posta si finge di ignorare”.

Intende sostenere che anche dal punto di vista scientifico, una donna che ha subito violenza fa male ad abortire?

“Non si tratta di dottrina cattolica, lo ripeto. Numerosi studi scientifici hanno chiarito che se una donna ha subito violenza, e decide pertanto di interrompere la gravidanza,

viene assalita da enormi danni psichici che aggiungono un nuovo trauma al trauma subito. Davvero tuteliamo la salute della donna, che pure resta incinta in condizioni

drammatiche, se la priviamo di suo figlio?”.

Alcuni, come i radicali, hanno salutato le parole di Bergoglio come una salutare apertura in tema di aborto. Lo è anche per i medici finora obiettori, che potranno sentirsi più tutelati in coscienza?

“Praticare l’aborto resta un peccato gravissimo contro la vita. Non c’è alcun allentamento, né una qualche forma di via libera. Non c’è alcun allentamento, né una qualche forma di via libera. Nelle parole di Francesco, c’è semmai un incentivo al pentimento. Ora che i sacerdoti hanno la possibilità permanente di assolvere che ha procurato l’aborto, la fede è più prossima e vicina a chi pecca. Non occorre più cercare l’assoluzione del vescovo o dell’alto prelato, ma basta semplicemente andare in Chiesa, motivati da un autentico pentimento. Bergoglio ha sanato un vulnus: meno gerarchie, più orizzontalità”.

Alla luce delle sue valutazioni, non c’è dunque il rischio che le reali intenzioni di Papa Francesco, proprio come accaduto in merito ad altri casi sensibili, possano essere lette come un riconoscimento parziale delle ragioni laiche e del diritto all’aborto?

“Papa Francesco ha introdotto anche in questo caso una chiara distinzione tra errore ed errante. L’errore, e cioè l’aborto, resta grave per chi lo procura, e chi lo conduce a termine. L’errante, e cioè chi pecca, può e dev’essere accolto se pentito, Si tratta di un progetto di misericordia, più ampia che in passato , verso chi sbaglia e vuole redimersi. chi fraintende le parole del Papa, o vuole distorcerle intenzionalmente, non ha gioco facile perché la verità alla fine, si impone sempre”.

Medici non obiettori di coscienza e laicisti, non possono dunque sentirsi incoraggiati nell’ intravedere in Francesco uno alleato per combattere più duramente gli obiettori?

“È un rischio che può configurarsi soltanto in presenza di disonestà intellettuale”.

Per visualizzare l’articolo CLICCA QUI Gesto di carità …il mattino 22 nov 16

 

 

MARCO E CIOIA CONTRO LA CULTURA DELLA MORTE

di Alessandra Nachira

novembre 2015

“Abbiamo tenuto il nostro piccolo anche se i medici consigliavano l’aborto”

 

Una storia di fede e amore per la vita quella di Marco, Cioia e i piccoli Giovanni e Martina Uda. Una famiglia in lotta contro la cultura della morte, che con forza si è opposta alla logica del figlio perfetto, accettando la vita nella sua interezza per sé e per il loro bambino anche se malato. Un messaggio di speranza che Marco e Cioia hanno voluto offrire, durante il convegno dell’Associazione italiana ginecologi ostetrici cattolici (AIGOC), svoltosi a Macomer sabato scorso. Tutto era cominciato per Cioia al terzo mese di gravidanza, durante l’esame di translucenza nucale, i medici scoprono una malattia terminale del feto incompatibile con la vita e consigliano alla famiglia di interrompere la gravidanza. “Ricordo la freddezza con cui la genetista propose l’aborto come unica via, racconta Cioia, fu un momento di grande solitudine dolore. Per noi quel figlio era un dono di Dio e decidemmo di proseguire la gravidanza comunque, contattando vari medici in Sardegna,ma la risposta era sempre la stessa: abortire”. Dopo varie ricerche Marco e Cioia incontrano il professor Giuseppe Noia, responsabile del Centro diagnosi e terapia fetale al Gemelli di Roma e presidente AIGOC, al quale si affidano per portare a termine la gravidanza. La diagnosi non era buona: il bambino è affetto da oloprosencefalia alobare, una grave malformazione del sistema nervoso centrale. “Il professor Noia ci accolse come un padre, dice Marco, accompagnandoci in quel difficile percorso, con la consapevolezza che il bimbo sarebbe potuto morire subito dopo la nascita e rassicurandoci che, se solo ci fosse stata una possibilità, l’avrebbe salvato ma senza accanimento terapeutico”, ma il piccolo però aveva altri progetti, voleva nascere aggrappandosi disperatamente alla vita, con quella stessa forza trasmessagli in otto lunghi mesi da mamma, papà e dalla sorella Martina. “Giovanni nacque dopo otto mesi, racconta Cioia, la voce rotta dalla commozione, e, a dispetto di quanti lo consideravano un bimbo terminale, iniziò subito a respirare, da solo”.  Oggi Giovanni ha due anni e mezzo e fa progressi ogni giorno, con gran stupore dei medici del reparto di neurochirurgia infantile del Gemelli che lo hanno in cura. “Non sappiamo quanto vivrà il nostro bambino, concludono i coniugi, nel frattempo faremo di tutto per dargli una vita bella” Marco e Cioia sono membri della Fondazione “Il Cuore in una Goccia” (istituita da Giuseppe e Anna Noia), che sostiene e assiste le donne in gravidanza, intervenendo umanamente con i più alti standard medici, etici e scientifici. “Attraverso la Fondazione, spiega Cioia, vogliamo portare in Sardegna un supporto per le famiglie che affrontano gravidanze a rischio”.

A Macomer “L’etica incontra la scienza”

28-10-15

di Giuseppe Manunta

L’Associazione Italiana Ginecologi ed Ostetrici Cattolici organizza a Macomer, il prossimo 7 Novembre, nell’Auditorium delle ex Caserme mura un incontro della Scuola itinerante AIGOC, intitolato “L’etica incontra la scienza. La buona cura per la salute della madre e del nascituro”. Il nostro tempo cavalca vertiginosamente la fretta del “tutto e subito”, e al detto “Un uomo vale tanto quanto pensa” si è sostituito il detto “Un uomo vale tanto quanto appare”.
Anche la scienza ha risentito di questa mutazione antropologica, dove l’uomo virtuale dell’apparenza si è sostituito alla verità dell’uomo, all’uomo reale. Il convegno mira a provocare riflessioni sul “talento del tempo” che abbiamo ricevuto e di cui dobbiamo rendere conto e sul dono inestimabile della vita.
La finalità è quella che, coniugando nel “giardino dei gentili” le ragioni della ragione scientifica, giuridica ed etica si possa riflettere sulla verità della persona umana, sulla sua preziosità e bellezza con onestà intellettuale contro approssimazioni e falsità ideologiche e scientifiche che sono figlie della cecità del cuore. Confluire su percorsi che portano ad invertire questa realtà di decadenza scientifica, culturale ed umana significa aprire gli occhi della mente e del cuore. In tal modo i valori più belli come il dono della vita, la giustizia, la libertà di coscienza, la solidarietà e la verità sull’uomo e su tutto l’uomo diventano raggi di luce che sanano le ferite dell’uomo del nostro tempo e si trasformano in feritoie, attraverso cui la conoscenza ci fa assaporare il servizio alla “grande bellezza”: la persona umana.
Il Corso è rivolto a Specialisti in Ginecologia ed Ostetricia, Medici di Medicina Generale, Ostetriche e Infermieri, Operatori della Pastorale Sanitaria, Famiglie. La quota d’iscrizione al Convegno è di 30,00 euro per i medici e 10,00 euro per le famiglie. L’iscrizione deve essere completata preferibilmente entro il 25 ottobre 2015 compilando il modulo d’iscrizione al corso scaricabile dal sito: www.aigoc.it . La stessa si potrà effettuare anche direttamente in sede, il giorno del convegno.

Per visualizzare la Brochure del convegno CLICCA QUI      MACOMER NOV 15 BROCHURE

DIAGNOSI SU EMBRIONI, OLTRE LA META’ NON SOPRAVVIVE

 

La selezione del “figlio sano” genera uno scarto di vite allo stadio embrionale ben superiore al 50% di quelle concepite in provetta per evitare la trasmissione di malattie genetiche. Un fallimento censurato.

 

18-06-15

In uno studio pubblicato su Medicina e Morale nel 2004 gli autori sostenevano che gli embrioni “anche se apparentemente selezionati in seguito alla diagnosi genetica preimpianto, si trovano nella stessa situazione di alta precarietà, anzi forse peggiore, degli embrioni prodotti e utilizzati nei processi ordinari nei quali la selezione avviene spontaneamente”. In sostanza, solo circa il 3% di tutti gli embrioni prodotti e sottoposti a diagnosi preimpianto e solo il 6.7% di tutti gli embrioni trasferiti in utero riesce a sopravvivere fino al parto. dati sconfortanti eppure sottaciuti: a distanza di più di dieci anni, la diagnosi preimpianto, che secondo la recente sentenza della Corte Costituzionale diventa accessibile anche alle coppie fertili portatrici di malattie genetiche, continua a rivelarsi una tecnica molto rischiosa e con basse probabilità di successo. “Il tasso di perdita degli embrioni, spiega infatti Giuseppe Noia, presidente AIGOC, si mantiene ancora ben superiore al 50%”. Dato non irrilevante per la buona prassi sanitaria.  “In un atto medico, rimarca Noia, c’è un bilancio fra utilità della diagnosi e il rischio. Per esempio, per l’amniocentesi il rischio è fra lo 0.5 e l’1%, moltissime tecniche invasive possono attestarsi intorno al 2%”. Per la diagnosi pre-impianto il rischio di perdita degli embrioni invece è altissimo.  Leggi l’intera intervista CLICCA QUI intervista Noia Avve_18.6.15_Diagnosi_su_embrioni_oltre_la_meta_non_sopravvive

 

 

Vita e famiglia: il contributo dei ginecologi cattolici

Il professor Giuseppe Noia parla dell’Associazione Italiana Ginecologi e Ostetrici Cattolici, di cui è presidente

Famiglia & Vita

28 dicembre 2014

“Una società che ammicca costantemente al relativismo etico ed è indifferente al destino dell’uomo porta inevitabilmente alla cecità dell’anima”. È la constatazione di questo impietoso scenario che ha spinto un gruppo di medici – impegnati nell’ambito della tutela della salute della donna e della vita nascente – a riunirsi nella Associazione Italiana Ginecologi e Ostetrici Cattolici (Aigoc), al fine di “invertire questa realtà” veicolando “i valori più belli” come “il dono della vita, la giustizia, la libertà di coscienza, la solidarietà e la verità sull’uomo”. Il 12 dicembre scorso presso il Policlinico “Gemelli” l’Aigoc ha tenuto un seminario con l’intento di esprimere “le sinergie per una grande strategia in favore della vita e della famiglia”. Di questo tema, nel giorno in cui la Chiesa invita a contemplare la Sacra Famiglia di Nazareth, ne parla a ZENIT il prof. Giuseppe Noia, presidente dell’Aigoc.

Prof. Noia, come nasce l’idea di costituire una Associazione di Ginecologi Cattolici?

In primo luogo nasce dal dolore e dalla constatazione quotidiana che la vita umana, la persona umana, l’affettività e il grande valore della famiglia sono state e sono devastate dalla cecità degli occhi del cuore. Però è sotto gli occhi di tutti che l’aborto volontario, la fecondazione artificiale, le pillole abortive, l’aborto eugenetico della diagnosi pre-natale e tutto l’eugenismo sulla vita pre-concezionale, le cellule staminali embrionali uccidono la preziosità e la dignità del valore della vita umana. Sono tentacoli di un’unica piovra che opera una fabbrica della morte ed è anche un’agonia culturale della scienza. La scienza è indifferente e neutra dinanzi al destino dell’embrione e della famiglia e “pilatescamente” se ne lava le mani o addirittura contribuisce e  si accanisce con la sua tecnologia contro l’embrione, “il più povero tra i poveri” (Madre Teresa), o contro la fragilità della famiglia. Attraverso una serie di menzogne culturali ha operato e opera la triste manipolazione semantica per cui “il delitto diventa un diritto” (San Giovanni Paolo II). Ha operato e opera una manipolazione scientifica e psicosociale, perché non basata sull’evidenza dei valori, bensì sul narcisismo tecnologico e sull’emozionalismo individualistico. Ma c’è anche un altro motivo, di carattere oggettivo, dietro la nascita di questa Associazione.

Qual è?

L’invito a laici, a ginecologi cattolici, da parte di autorità ecclesiastiche e accademiche, di riappropriarsi della responsabilità e del proprio ruolo testimoniale dinanzi a una deriva etica sulla vita nascente e sulla frammentazione della famiglia, a crescita esponenziale. Un invito pressante a usare tutta la forza del sapere scientifico ma ispirato ai documenti del magistero (Humane Vitae, Evangelium Vitae, Deus Charitas Est, Dignitas Personae) affinché la fede e la ragione possano liberare l’uomo dalle gabbie della non verità. Mi è stato insegnato a non propormi ma “se ti chiamano, vai: dietro quella chiamata ci può esse Qualcuno che chiama”.

Ritiene che queste “gabbie” cui fa riferimento stiano imprigionando i principi morali cattolici in merito alla bioetica medica?

Certo, le difficoltà non sono particolari ma sono ubiquitarie, dappertutto e, spesso, anche nel nostro stesso mondo cattolico. L’analisi di questo andare in salita, contro corrente, è riconducibile, a parer mio a due fattori. Il primo è la perdita del senso più alto di fare scienza come servizio alla persona umana. Il secondo è la perdita del senso della fede e dell’appartenenza alla Chiesa e al Magistero Cattolico come ricchezza e risorsa per tutti, credenti e non credenti. Infatti l’Aigoc non nasce per fare un fondamentalismo etico ma per parlare attraverso la ragione scientifica, giuridica, filosofica e psicosociale a tutti, credenti e non credenti, con un linguaggio e una metodologia basati sul dialogo e sul confronto. Cerca di operare una chiarificazione del pensiero con gli strumenti dell’evidenza scientifica non per una vittoria ideologica ma per tessere ponti di condivisione. A nostro parere è un progetto di pacificazione culturale, e quindi sociale. E tutti noi vediamo quanto bisogno di pace interna e esterna c’è nella nostra società. Il prezzo da pagare è quello simile ai sermoni: vanno contro corrente, depositano le uova e poi muoiono. Nel nostro caso spesso per depositare le uova della verità sulla persona umana si muore nel pregiudizio culturale, nelle ostilità irrazionali, nell’ideologismo e nella malafede.

Tutta la seconda sessione del convegno che si è tenuto lo scorso 12 dicembre è stata dedicata al tema dell’obiezione di coscienza. Avverte un clima ostile intorno ai medici obiettori?

Non l’ho detto io ma è una marea montante che si evince dai fatti e dalle decisioni operate da autorità regionali, nazionali e europee. È una forma di prepotenza giuridica contro un diritto sancito dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, dal Comitato Nazionale di Bioetica e, recentemente, dalla stessa Corte europea. Combattere l’obiezione di coscienza è gravissimo a tutti i livelli perché significa combattere il nucleo intimo della libertà dell’uomo. Questo atteggiamento ci ricorda i totalitarismi culturali e politici che hanno macchiato la storia con delitti e infamie su milioni di esseri umani: hanno ucciso l’umanità dell’uomo! Quale messaggio lasciamo e lanciamo alle giovani generazioni? La storia ha giudicato e ha pesato il pieno fallimento dei totalitarismi.

Umberto Veronesi ha parlato, in una recente intervista, di una sorta di movimento clandestino di medici italiani che praticano già l’eutanasia. Quest’argomentazione potrebbe persuadere l’opinione pubblica, un po’ come accadde per l’aborto nel 1978, verso la legalizzazione di una pratica oggi illecita?

Veronesi non è nuovo a tecniche e a strategie che giocano sull’uso della sua credibilità e il suo nome per fare accettare come fatto ineludibile alcuni atteggiamenti e scelte mediche eticamente e umanamente tristi e misere. Mi chiedo piuttosto come si possano sposare cause che distruggono l’uomo in nome di una falsa libertà e di un falso diritto. Tuttavia credo che il tempo sia galantuomo e la verità sulla preziosità della persona umana può sembrare che perda le battaglie ma vince sempre le guerre.

Battaglia preminente è oggi quella della crescita demografica. Il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, ha avviato ad ottobre un’assemblea permanente di esperti per rilanciare la natalità…

È molto ben accetto ogni progetto che miri alla consapevolezza che 30 anni di cultura della morte e di messaggi diseducativi hanno creato una scelta suicida che porta all’invecchiamento della popolazione e suscita gravi conseguenze. Bisogna rilanciare grandi progetti di educazione sociale sull’importanza dei valori dell’affettività, della sessualità, della vita e della famiglia. La laica Francia ha iniziato 20 anni fa qualcosa di simile, migliorandolo ogni 2-3 anni con politiche familiari – pratiche e gratificanti – e ha raggiunto il tasso di natalità più alto d’Europa. La laica Francia investe sulla vita e sulla famiglia e ottiene risultati sul piano sociale in termini di ricchezza economica e di ricchezza umana.

Da dove iniziare per ottenere quegli stessi risultati anche qui in Italia?

Da politiche che mirino ad educare le generazioni ai criteri valoriali. Un po’ di anni fa un certo Platone affermò che non saranno capaci di governare bene un Paese quei politici del tutto privi di conoscenza della verità. Oggi è l’emergenza sulla verità della persona umana e sui valori della vita e della famiglia che devono essere gli strumenti di educazione alla vita sociale. La grande “strategia della vita”, a 360 gradi, in maniera “opportuna e non inopportuna” sono le misure prioritarie per rilanciare una cultura aperta alla vita e incrementare le nascite.

https://it.zenit.org/articles/vita-e-famiglia-il-contributo-dei-ginecologi-cattolici/

UNA VITA LUNGA MEZZ’ORA “MA NE È VALSA LA PENA”
11 dicembre 2014

 

Giuseppe Noia, presidente dei ginecologi cattolici, racconta la lezione di Emanuele ai genitori e ai medici

Nella biblioteca del Dipartimento Tutela salute della donna della vita nascente, del bambino e dell’adolescente eravamo in 13: ginecologi, neonatologi,

bioeticisti, ostetriche, specializzandi, responsabili della sala parto, riuniti per parlare di Emanuele, il bimbo con Trisomia 13, che di lì a pochi giorni avrebbe visto la luce.

Tredici persone per un bambino con Trisomia 13, quasi una cabala. Il grembo materno e paterno lo aveva comunque accolto, pur nella sua diversità numerica di cromosomi

e pur nella consapevolezza che la diagnosi connotava una storia naturale infausta, di un bimbo che, purtroppo, sarebbe stato incompatibile con la vita.

Tuttavia, anche se la sentenza della genetica era già stabilita, l’aritmetica del cuore ne aveva cambiato il significato: accompagnare fino all’ultimo il proprio figlio era amarlo nel dolore, sì, ma senza disperazione: era un fidarsi di Dio contro ogni apparente ragionevolezza.

Nessuna vita è inutile: innanzitutto perché è il frutto di un amore che è utilissimo nel vissuto di ogni coppia, di ogni padre e di ogni madre; e poi perchè la dignità di ogni esistenza è indipendente da quanto tempo avrà. Madre Teresa raccogliendo un moribondo sul ciglio della strada a Calcutta lo ripulì, lo dissetò, lo accolse dandogli un’altra mezz’ora, è vero,

ma un tempo sufficiente a cambiare il cuore di quell’uomo: “Sono vissuto come un cane, muoio come un angelo. Grazie!”, e spirò.

Emanuele è nato dopo 10 giorni dalla nostra riunione …

Per leggere l’intera intervista CLICCA QUI una-vita-lunga-mezzora 11.12.14

 

 

 

INTERVISTA

Noia: «Parti cesarei, scelte dettate dalla fretta e dalla paura delle denunce»

di Lorenzo Galliani
sabato 19 gennaio 2013
«L’alleanza tra medico e paziente si è persa, ormai da troppo tempo», e il dato vertiginoso dei parti cesarei è solo una delle conseguenze. Per il professore Giuseppe Noia, presidente dell’Associazione ginecologi e ostetrici cattolici (Aigoc) e responsabile del Centro di diagnosi e terapia fetale del Policlinico Gemelli, bisogna mettere al centro i valori: «alla coscienza della preziosità della vita umana» corrisponde la qualità dell’assistenza sanitaria. Se crolla la prima, cede anche l’altra. Nel 43% dei casi il parto cesareo non è giustificato. Il ministero della Salute parla di «campanello d’allarme». È così?Sono preoccupazioni giustificate. Da una parte, si genera nella popolazione la convinzione – non fondata – che il cesareo sia più sicuro, e nei medici l’idea che si possano avere meno rischi, di altro tipo.In sostanza, si tende ad assecondare molto facilmente il paziente per liberarsi da eventuali guai giudiziari…La conseguenza è però una specie di passaggio di consegne della responsabilità.Con nessun beneficio.Il cesareo è un atto chirurgico, non privo di complicazioni. L’alleanza terapeutica viene disarcionata dalla «medicina difensiva», che però pone altre problematiche, a partire dal rischio infezioni.Come ricostruire il rapporto tra medico e paziente?Il problema è su due livelli: da un lato serve una maggiore tutela dei medici, anche sul piano giuridico. Dall’altro bisogna lavorare sul piano culturale. La scelta del parto cesareo spesso è un prodotto della fretta, una pessima consigliera.Per il ministero gli alti tassi dei parti cesarei in alcune strutture, giustificati dalla posizione anomala del feto, fanno nascere il sospetto «di una utilizzazione opportunistica di questa codifica non basata su reali condizioni cliniche». La questione non è quindi solo culturale…Quando una Nazione si trova a che fare con operatori impreparati o legati solo a convenienze economiche, emerge anche un grande tema etico. La gran parte dei ginecologi italiani non è così, per fortuna. Ma il problema resta. E come si affronta?Ritorna il tema del valore etico della gravidanza. Dobbiamo pensare al piacere di servire la donna nel suo momento più importante, in un gesto di amore. Anche in questo campo, purtroppo, si esprime a volte il relativismo etico.Appellarsi al rispetto dei princìpi non sempre è sufficiente.Bisogna anche verificare le condotte dei medici, i loro percorsi. Oggi nel pubblico c’è un maggiore controllo. In Campania la percentuale dei primi parti cesarei sul totale delle nascite è pari al 49,66%, in Sicilia del 41,28%. Seguono Puglia, Basilicata, Molise e Calabria. Ancora una volta, un’Italia spaccata in due.Purtroppo sì. E aggiungo: all’ansia e alla fretta che portano in alto queste percentuali, corrisponde anche una scarsa attenzione per la prevenzione. Nell’alleanza medico-paziente ciò non può accadere. È questo uno dei temi che affrontiamo nelle «scuole itineranti» dell’Aigoc in cui dialoghiamo con medici, credenti e non, sull’evidenza dei valori condivisi.

 

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