28 Settembre 2024: “Giornata Internazionale per l’Aborto Sicuro”. Sicuro per chi?
ABSTRACT
La crescente pressione ideologica per introdurre in tutte le Carte dei diritti umani fondamentali, dopo quella francese anche in quelle degli altri Paesi europei, il nuovo “diritto all’aborto” per le donne, sta producendo un nuovo filone di interventi pubblici che tendono ad enfatizzare in senso critico alcuni aspetti normativi contenuti nella L. 194/78 ritenendoli “ostacoli” all’applicazione della stessa legge. Nel report che l’associazione “Medici del Mondo” insieme ad esponenti del M5S ha recentemente presentato alla Camera dei Deputati si trovano infatti numerose osservazioni critiche in tal senso che, se attese, porterebbero ad uno stravolgimento della legge sull’aborto in Italia, come la cancellazione dell’art.9 per l’obiezione di coscienza.
In quel report è stato rappresentato inoltre, il rischio di ripercussioni sulla salute mentale delle donne che non riuscirebbero ad effettuare l’aborto nei tempi e nei modi desiderati a causa di carenze di Consultori pubblici e di medici “non obiettori”; dati questi che non trovano conferma nell’ultima Relazione del Ministero della Salute al Parlamento del 2023. Vengono anche giudicati inutili e dannosi sulla psiche delle donne gli interventi degli “antiabortisti” nei Consultori e nelle strutture sanitarie pubbliche. A prova di questo effetto, è stato riportato uno studio statunitense, Turnaway, nel quale in realtà, non appare con evidenza scientifica il denunciato disagio psicologico per le donne che portano avanti gravidanze inizialmente indesiderate. Restano invece inconfutabili le numerose reviews internazionali con metanalisi effettuate in questi anni, quale quella di Priscilla K. Coleman (Abortion and mental health: quantitative synthesis of research published 1995-2009, The British Journal of Psychiatry, 2011) e quella danese di David C. Reardon (Issues in Law & Medicine, vol.39, N.1 2024), nelle quali emergono con evidenza le problematiche psichiche nelle donne che hanno abortito, soprattutto a distanza di tempo (9-12 mesi) dall’evento.
La sottovalutazione delle conseguenze fisiche immediate dell’aborto farmacologico, tale da essere ulteriormente promosso tra le donne come forma più facile, meno dolorosa e più sicura, tanto da lasciare a casa la donna con la RU486 e il Misoprostolo, è motivo di seria apprensione per la sua stessa salute. Infatti, già la Relazione del Ministero della Salute al Parlamento italiano sull’applicazione della L. 194 per l’anno 2021, riporta chiaramente il dato della maggiore incidenza di queste complicazioni: 4 volte superiori a quella dell’aborto chirurgico; come pure le statistiche nazionali ed internazionali documentano una mortalità materna di 10 volte superiore per l’aborto farmacologico rispetto a quello chirurgico.
L’origine di questo “assedio ideologico” alla politica italiana e all’opinione pubblica nasce da un atteggiamento culturale gravemente menzognero. Si vuole far prevalere il principio dell’autodeterminazione della donna (salvaguardata nel suo “diritto alla salute sessuale e riproduttiva”) sul riconoscimento della vita umana degna di rispetto e di accoglienza fin dal suo inizio. Un duplice e terribile inganno: a danno della salute psicofisica della donna e della vita di un essere umano, inerme ed indifeso, nella fase più delicata del suo sviluppo all’interno dell’utero materno.
28 Settembre 2024: “Giornata Internazionale per l’Aborto Sicuro”. Sicuro per chi?
La spinta ideologica per il “diritto all’aborto” si fa sempre più esasperata. La negazione ostinata della storia biologica naturale della vita umana fin dal suo inizio con il concepimento, ossia la formazione di un nuovo individuo con il suo patrimonio genetico unico ed irripetibile al momento successivo della singamia (unione della cellula uovo con la testa dello spermatozoo), che la fecondazione in vitro ha reso visibile ed innegabile al punto da indurre R.G. Edward (pioniere della FIVET) guardando al microscopio il “concepito” prima di trasferirlo nell’utero di sua madre ad affermare già nel 1981 “Chi è il concepito? il microscopico essere umano nelle primissime fasi del suo sviluppo (R.G. Edwards – P.G. Steptoe, A matter of live, London, 1981, pag. 101), ha condotto un “certo” pensiero umano a questa paradossale deriva ideologica. Pensiero che, sostenuto da potenti organizzazioni internazionali (vedi OMS), vorrebbe assurgere a “pensiero unico”, cioè dominante.
Il diritto all’autodeterminazione, il mantra del “pensiero unico” moderno, che sottende il “diritto all’aborto”, non riesce più a fermarsi neanche di fronte all’evidenza scientifica, ormai acclarata con tanti strumenti biotecnologici, dell’esistenza di un essere umano, vivo, in pieno sviluppo nell’utero di sua madre. Come è stato e sarà per ogni essere umano che viene al mondo! Com’è dunque possibile pretendere di riconoscere la distruzione di questo essere umano, nella sua massima fragilità ed innocenza, come un’opzione o scelta libera della donna da rispettare in modo assoluto, quale suo diritto inalienabile?
Il disprezzo per la vita nascente, altra faccia della stessa medaglia del diritto all’aborto, finisce per alimentare la violenza in tutti gli ambiti della vita sociale, come le tristi cronache quotidiane ci dimostrano.
Rimuovere gli “ostacoli all’aborto” in Italia, secondo quanto dichiarato da Medici del Mondo (MdM) alla Camera dei Deputati lo scorso 23 settembre, significa stravolgere di fatto la stessa legge 194: non più la ricerca e la rimozione delle cause che inducono la donna all’aborto, secondo l’art. 2 comma d e l’art. 5 (“l’ingerenza degli antiabortisti nei consultori”); non più i 7 giorni di riflessione precedenti l’IVG, secondo l’art. 5 (“l’attesa forzata”); non più entro le 9 settimane di gravidanza, secondo le linee guida del Ministro della salute nel 2020, ma fino alla 12^ per l’aborto farmacologico e non più in regime di ricovero ospedaliero, ma a casa e con la telemedicina; non più medici e personale sanitario che pongano obiezione di coscienza, ai sensi dell’art. 9.
Non solo, per l’onorevole Gilda Sportiello del Movimento 5 Stelle “sarà illegale qualsiasi azione volta, intenzionalmente o incautamente, a molestare le persone che hanno deciso di interrompere una gravidanza, indicando zone di interdizione agli antiabortisti”, come avviene nel Regno Unito. Tradotto: verrebbe vietata legalmente anche la preghiera silenziosa davanti agli ospedali.
Considerare “l’IVG esclusivamente come atto medico, privo di connotazioni ideologiche, volto a garantire la tutela della salute psicofisica della persona gestante”, secondo MdM, conduce in realtà, ad un grave errore di valutazione, della natura innanzitutto dell’atto di cosiddetta “interruzione di gravidanza” e delle sue conseguenze psicofisiche, immediate e successive, per la donna. Oggettivamente, con l’IVG si agisce non solo sul corpo della donna, ma su un altro corpo umano vivente al suo interno, in una fase delicata di sviluppo dipendente dal nutrimento materno. Si interrompe pertanto, non lo sviluppo di un’appendice del corpo della donna, bensì il corso della vita umana di un figlio, privandolo del diritto inalienabile – questo sì fondamentale - alla nascita. Non si tratta perciò di “umanizzare l’embrione”, ma di riconoscere e rispettare il suo diritto alla vita!
Rispetto alle complicanze fisiche immediate dell’aborto volontario, sia chirurgico che farmacologico, abbiamo già sufficiente documentazione nell’ultima Relazione del Ministero della Salute al Parlamento italiano del 2023 per l’anno 2021. Nella Tabella 3.15 dell’ISTAT e nella Tabella 27 si evidenzia quanto le complicanze dell’aborto con la RU486 (Mifepristone) e Prostaglandine (Misoprostolo) siano 4 volte superiori rispetto a quelle dell’aborto chirurgico, soprattutto per il “mancato/incompleto aborto seguito da intervento chirurgico”. Questo dato, insieme a quanto rilevato nelle statistiche nazionali (AIGOC, C.S. N.5 del 28.08.2020) ed internazionali (M. Greene, New England Journal of Medicine, 2005) sulla mortalità della donna per aborto chimico o farmacologico che risulta essere circa 10 volte maggiore rispetto alla mortalità per aborto chirurgico, dovrebbe indurre a considerazioni più prudenti in merito al fatto di lasciare a casa le donne che vogliono abortire con la RU486 e Misopristolo, o con la telemedicina.
Vengono dichiarati con enfasi rischi sulla salute mentale per le donne a cui verrebbe impedito o comunque ostacolato di abortire volontariamente, sulla base dello Studio Turnaway citato nel documento dei MdM. Su un campione di 161 donne statunitensi, intervistate dopo una settimana dal mancato aborto e a cadenza semestrale, per 5 anni consecutivi, sono emersi i seguenti risultati: “Le partecipanti al sondaggio hanno riferto emozioni sia negative che positive riguardo al rifiuto dell'aborto una settimana dopo. Le emozioni sono diventate significativamente meno negative e più positive durante la gravidanza e dopo il parto . Nei modelli multivariabili, un minore supporto sociale, una maggiore difficoltà nel decidere di cercare l'aborto e nel dare il bambino in adozione sono stati associati alla segnalazione di più emozioni negative. Le interviste hanno rivelato come, per alcuni, la fede nelle narrazioni antiabortiste abbia contribuito alle emozioni positive iniziali. Anche i successivi eventi di vita positivi e il legame con il bambino hanno portato a valutazioni retrospettive positive del rifiuto.” (da “Emozioni a cinque anni dal diniego dell'aborto negli Stati Uniti: contestualizzare gli effetti del diniego dell'aborto sulla salute e sulla vita delle donne”. (H. Rocca,Heidi Moseson, Erica Gould,Diana G. Foster,Katrina Kimporta). Per quanto contenuto il campione di donne intervistate in modo longitudinale nel tempo, non si evidenziano in realtà elementi significativi di sofferenza psicologica, anzi, sembrano prevalere già durante la gravidanza (indesiderata), dopo il parto e a distanza di anni “emozioni positive”!
D’altro canto, è invece notevolmente nutrita la letteratura scientifica sulle conseguenze psicologiche e psichiche dell’aborto volontario sulla donna. Riportiamo la nota review di Priscilla K. Coleman (Abortion and mental health: quantitative synthesis of research published 1995-2009, The British Journal of Psychiatry, 2011): sono stati esaminati 22 studi; considerati 36 parametri di 887.831 donne di cui 163.831 avevano abortito. Questi in sintesi i risultati: 81% di quelle che avevano abortito avevano aumentato i loro problemi di salute mentale; il 10% di queste attribuibile esclusivamente all’aborto. Tra i parametri confrontati in chi aveva abortito e in chi aveva partorito, risultano molto elevati l’uso di sostanze (cannabinoidi e alcol), l’ansia, la depressione e i comportamenti suicidari nel primo gruppo di donne.
In uno studio più recente, effettuato su 84.620 donne danesi, si è riscontrato che, se nel primo trimestre dopo l’aborto volontario le donne non dimostrano disturbi psichici, a distanza di 9 mesi e ancor di più dopo un anno, nelle stesse donne gli effetti psicologici compaiono in modo significativo. Col passare del tempo infatti, in concomitanza dell’anniversario dell’aborto, i meccanismi di ‘coping’ della donna iniziano ad essere sopraffatti dal dolore persistente, dal senso di colpa o da altri fattori di stress legati all’aborto. (A reanalysis of mental disorder risk following first-trimester abortions in Denmark. David C. Reardon. Issues in Law & Medicine, vol.39,N.1 2024).
Altro pretestuoso ostacolo all’aborto volontario sarebbe l’“obiezione di coscienza” del personale sanitario, in particolare dei medici, ginecologi ed anestesisti. Ma le stesse Relazioni ministeriali al Parlamento sulla L.194 ogni anno documentano l’infondatezza di questo rilievo. E, con l’incremento costante dell’aborto chimico o farmacologico che viene operato per la maggioranza dei casi al di fuori degli ospedali, questo “ostacolo” resta nell’immaginario di coloro che premono per una piena liberalizzazione dell’aborto volontario, scavalcando la stessa L. 194.
Di fatto, già dai dati che si rilevano in questi ultimi anni, appare evidente quanto la L. 194 venga beffata: continuano gli aborti clandestini (10.000-13.000 secondo l’ultima stima del 2017); si diffonde la contraccezione d’emergenza, specialmente tra le giovani, ossia le pillole post-coitali “del giorno e dei 5 giorni dopo” (762.796 confezioni totali di Norlevo ed ellaOne vendute nel 2023) con effetto antinidatorio, cioè abortivo precoce; viene praticato l’aborto clandestino con il Cytotec, una prostaglandina disponibile nelle farmacie ed anche acquistabile online che causa un’abbondante metrorragia del tutto sovrapponibile a quella di un aborto spontaneo. Tutti questi dati saranno forniti in maniera più ampia e ragionata sul prossimo 3° Rapporto sull’Aborto volontario, in via di pubblicazione.
Siamo dunque di fronte ad un “assedio ideologico” nei confronti della politica e dell’opinione pubblica, il cui “cavallo di Troia”, ben foraggiato dalle organizzazioni internazionali più influenti (ad es. OMS), viene strategicamente fatto coincidere con la “salute sessuale e riproduttiva delle donne”. E’ una strategia che ha mezzi potenti, ma da quanto abbiamo qui potuto documentare, si fonda sulla menzogna che inganna le coscienze delle persone, indotte a ritenere lecito, anzi “un diritto fondamentale” l’atto più ingiusto della civiltà umana: la soppressione violenta di un essere umano inerme ed indifeso!