Comunicato Stampa n. 4 del 2 settembre 2023

RIASSUNTO:

Nel Consenso informato il medico non può omettere di mostrare alla donna che richiede un’azione “medica” le immagini e i segni di vitalità dell’essere umano nell’utero materno coinvolto dalla suddetta azione “medica”.

La campagna per “Un cuore che batte” riporta alla luce la realtà scientifica della vita umana concepita e viva nel grembo materno.

Il riconoscimento da parte della madre della presenza vitale di un essere umano, il figlio, all’interno del suo utero, le conferma quanto già percepisce per effetto delle modificazioni anatomiche ed endocrino/neuro/funzionali legate all’inizio della gravidanza dandole tutti gli elementi per una scelta informata, libera e consapevole che la vedrà protagonista e non condizionata da pregiudizi e omissioni altrui e dall’ignoranza.

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La campagna in corso per la raccolta di firme presso i Comuni italiani finalizzata alla presentazione della PLIP che vuole integrare la legge 194/78 all’articolo 14 con il comma 1-bis: “Il Medico che effettua la visita che precede l’interruzione di gravidanza ai sensi della presente legge, è obbligato a far vedere, tramite esami strumentali, alla donna intenzionata ad abortire, il nascituro che porta nel grembo e a farle ascoltare il battito cardiaco dello stesso”, non può lasciarci indifferenti!

 A prescindere dalle considerazioni di opportunismo politico, giuridico o altro che sono state presentate, vorremmo entrare nel merito “medico” e specialistico della proposta.

Premessa tecnica: la rilevazione visiva del battito cardiaco fetale (bcf) può essere effettuata in sicurezza per il feto con gli ultrasuoni (ecografia) in M-mode e B-mode nelle prime 10 settimane di gravidanza

Dunque, il battito cardiaco fetale, anche quando non è consigliato rilevarlo acusticamente, può essere chiaramente visualizzato sul monitor dell’ecografo!

Aspetto deontologico.

 Nel caso specifico dell’ecografia, necessaria a determinare la sede (intra o extrauterina) e l’evolutività della gravidanza, previamente all’intervento di Interruzione Volontaria di Gravidanza (IVG), il medico incaricato potrebbe sentirsi profondamente condizionato ad effettuare un consenso informato valido dalla determinazione della donna che ha già intrapreso un percorso legalizzato di rinuncia al figlio, a tal punto da omettere di mostrare il feto alla madre attraverso il monitor dell’ecografo e, ancor di più, di farle vedere le pulsazioni cardiache ed ascoltare (se in un’epoca della gravidanza oltre la decima settimana) il segnale acustico del battito cardiaco.

Il medico, viceversa, è tenuto deontologicamente a rispettare, oltre che il diritto della madre ad un consenso informato, anche la dignità del bambino presente e vitale che appare sotto la sonda ad ultrasuoni, indipendentemente dai suoi personali orientamenti. Anche se il bambino in utero non fosse considerato “soggetto” di pari dignità, ma soltanto “oggetto” della decisione di altri, è quantomeno doveroso e corretto deontologicamente renderlo visibile per deciderne le sorti! La madre deve poter decidere solo dopo essere stata informata in modo completo. Le informazioni disponibili, tra cui quelle raccolte con l’esame ecografico, vanno comunicate e debitamente documentate da parte del medico, a prescindere dal fatto di essere “obiettore” o “non obiettore di coscienza”.

L’esame ecografico, dunque, pur facendo parte di un percorso finalizzato alla IVG, è parte integrante del “consenso informato” in quanto apporta elementi conoscitivi essenziali per una scelta veramente consapevole e libera della donna. Quest’ultima ha la possibilità e la facoltà di poter revocare la sua decisione abortiva in ogni fase dell’iter assistenziale e dovrebbe esserle garantita una scelta libera, basata su un regolare e completo consenso informato.

Aspetto scientifico ed ontologico

Auspichiamo che venga data alla mamma la possibilità di riconoscere la presenza di un altro essere umano in sviluppo nel suo grembo.

Il prevalere mediatico e culturale del principio dell’“autodeterminazione” in senso assoluto, ha completamente oscurato fino a negarla una presenza umana nell’utero materno,  realtà oggettiva che ha caratterizzato la storia prenatale di ognuno di noi. Solo la negazione della presenza di una nuova vita, unica, irripetibile, autonoma nel grembo della donna che diviene madre sembrerebbe giustificare il diritto insindacabile delle sue decisioni e quindi l’equazione: diritto di scelta della donna = diritto di aborto.

La campagna per “Un cuore che batte” riporta finalmente alla luce la realtà scientifica della vita umana concepita e viva nel grembo materno!

Oscurare deliberatamente questa verità è la prima violenza contro la donna, suo figlio e l’umanità tutta!

Rendere evidente alla sua mamma la presenza di una vita umana, indifesa e bisognosa di essere accolta, è atto di corretta deontologia ippocratica e di vera giustizia!

Infine si consideri la conferma sperimentata della validità di questo approccio clinico rispettoso della madre e del suo bambino, nel salvare la vita dei bambini in utero insieme alla felicità delle loro mamme.

Ogni ginecologo può testimoniare che più di una donna, dopo aver visto sul monitor dell’ecografo il proprio figlio/a muoversi con il suo evidente battito cardiaco, ha chiesto di essere dimessa, anche se già in ospedale, e ha lottato come una leonessa per la vita di suo figlio, qualcuna anche sottoponendosi a terapie per contrastare l’effetto dell’Ru486.

Qualcuna, per riconoscenza, ha anche dato il nome dell’ostetrico al proprio figlio dopo che questi, avendole effettuato un consenso realmente informato, l’ha aiutata ad evitarne l’uccisione.

L’efficacia nel prevenire così l’aborto volontario, in buona parte con evidente piena soddisfazione della mamma, viene dimostrata anche dalle statistiche provenienti da quei Paesi che hanno già adottato, in modo formale e normativo, la modalità dell’esposizione alla madre delle immagini ecografiche del feto e del suo battito cardiaco, prima di essere sottoposta all’aborto volontario.

 Comunicato Stampa n.3 del 22 maggio 2023 

Più di sei milioni di vittime innocenti. Di bambini nella fase più fragile della loro vita. Sei milioni di esistenze umane smembrate, dissolte ed annientate, buttate nei rifiuti pericolosi ospedalieri o, come accade con l’aborto chimico (RU486), anche nei WC delle proprie case. 

45 anni di disprezzo della vita umana più nobile, perché più meritevole di cure ed attenzioni, eppure più povera ed indifesa. 

45 anni di violenza spietata verso gli esseri umani più preziosi perché veri depositari del nostro futuro personale e sociale. 

45 anni di menzogne legittimate e potenziate dal potere mediatico nazionale ed internazionale tanto da indurre le nuove generazioni a considerare l’aborto volontario un nuovo “diritto umano”. Un altro gravissimo esito culturale di quella legge 194 che ha ucciso le coscienze e ancora le inganna facendo assurgere la scelta abortiva ad atto di libertà e di autodeterminazione. Tanto da mettere in discussione il diritto alla obiezione di coscienzada parte del personale sanitario, prevista dalla stessa legge. 

45 anni di inganni e di reticenze sulle gravi conseguenze psico-fisiche dell’aborto volontario, di cui i redattori del “documento” per l’IVG (Interruzione Volontaria della Gravidanza) non informano le donne, come invece dovrebbero per un legittimo “consenso informato”. Donne che scontano per lunghi anni queste conseguenze, senza un supporto adeguato da parte degli stessi Servizi che hanno certificato la loro decisione. 

45 anni di connivenza della Medicina e della Ginecologia corporativa nazionale ed internazionale con i grandi poteri economici ed ideologici che misconoscono intenzionalmente l’inizio della vita umana dal concepimento, tanto da approvare e raccomandare l’utilizzo, anche gratuito, di sostanze ormonali in pillole con prevalente (pillole post-coitali del “giorno e dei 5 giorni dopo”) o possibile effetto abortivo precoce (pillole estro-progestiniche, o solo progestiniche), determinando un numero di “criptoaborti” o aborti “nascosti” molto superiore a quello registrato secondo la legge 194. 

La coscienza formata alla verità scientifica ed etica sulla vita umana concepita, quale quella dei Ginecologi ed Ostetrici Cattolici, non può non denunciare una simile ingiustizia che perdura immutata da 45 anni. La più grave delle ingiustizie contro una moltitudine di esseri umani innocenti ed indifesi. 

La dignità di questi nostri piccoli fratelli e sorelle non nati merita il nostro rispetto e tutto il nostro impegno professionale affinché venga debitamente riconosciuta, in quanto esseri appartenenti alla specie umana e, come tali, soggetti di diritto. Primo fra tutti, dal quale tutti gli altri derivano, quello alla vita 

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