Comunicato Stampa n. 1 del 12 gennaio 2024

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ABSTRACT

A 20 anni dall’approvazione della Legge 40/2004, dopo le sentenze della Corte Costituzionale che hanno stravolto la volontà del Legislatore, tutte le criticità che le tecniche di fecondazione extracorporea avevano, appaiono in quest’ultima relazione ministeriale – seppur incompleta per il mancato invio dei dati relativi alle tecniche applicate. Infatti, solo il 78,3% dei centri che hanno ottenuto almeno una gravidanza omologa ed il 74,1% dei centri che hanno ottenuto almeno una gravidanza eterologa hanno fornito informazioni circa l’esito delle gravidanze. In Campania non sono state fornite informazioni nel 47,7% e nel Lazio nel 14,1% delle gravidanze omologhe e rispettivamente nel 20,0% (Campania) e nel 14,1% (Lazio) delle gravidanze eterologhe.

– È aumentato il numero medio di ovociti per prelievo: 7,7 nel 2021 mentre era 7,5 nel 2020. Ma, a fronte di un numero elevatissimo (354.291) di ovociti prelevati, nella FIVET/ICSI omologa, ne sono stati inseminati soltanto 5,5/prelievo e fecondati 182.128. Di questi embrioni prodotti, soltanto 96.696, ossia il 53,09%, sono stati giudicati trasferibili; ma ne sono stati effettivamente trasferiti 38.188, il 38,69% degli embrioni trasferibili, pari al 20,96% di tutti gli embrioni prodotti (182.128).

– La prima fase, cioè la stimolazione ovarica, ogni anno mostra le sue crescenti criticità: 4.480 cicli vengono sospesi prima del prelievo ovocitario (8,9% dei cicli iniziati a fresco), di cui 2.932 (5,8%) per mancata risposta alla stimolazione ovarica (causa non difficile da prevedere in centri specializzati!). Il tentativo di ottenere ovociti anche in donne di età superiore ai 40 anni causa il maggior numero di interruzione dei cicli dopo il prelievo degli ovociti che vengono tutti crioconservati per rischio di Sindrome da iperstimolazione ovarica (OHSS severa in: 2.649 donne): nell’11,9% nell’età 40-42 anni e nel 15,7% a 43 o più anni di età della donna.

– È in costante aumento il numero degli embrioni crioconservati nella FIVET/ICSI omologa (61.212 nel 2021) che vanno ad aggiungersi – poiché nello stesso anno se ne scongelano di meno – agli altri già conservati nei freezer dei laboratori italiani per un numero totale, fino al 31.12.2021, di ben 168.076 di embrioni omologhi. Per la FIVET/ICSI da donatore o donatrice di gameti (eterologa) questo dato sulla crioconservazione non viene neppure riportato nella Relazione ministeriale.

Considerando che negli ultimi anni il 94,8% dei trasferimenti in utero sono costituiti da 1-2 embrioni, appare improprio continuare ad iperstimolare le ovaie delle donne per produrre tanti embrioni in vitro destinati al gelo. Il numero massimo di 3 embrioni per ciclo da produrre con l’obbligo di trasferirli tutti nell’utero anche in tempi diversi nella stessa donna ci sembra un limite ragionevole da porre.

PMA nei LEA? I risultati della FIVET/ICSI nelle donne di età pari o superiore ai 40 anni, soprattutto per le tecniche omologhe “a fresco” e con scongelamento di ovociti, dovrebbero far comprendere ai Responsabili Nazionali e Regionali la necessità di escluderle dai LEA in una Nazione in cui tutti giudicano insufficienti le risorse destinate alla Sanità!

Le problematiche della PMA con gameti “donati”. Anche i dati per la PMA con donazione di gameti (FIVET/ICSI eterologa), oltre al fatto di confermare un’alta perdita di embrioni prodotti (nel 2021, su un totale di 45.293 solo 14.421 embrioni sono stati trasferiti in utero, pari al 31,83%; sono nati vivi soltanto 2.063 bambini pari al 21,5% degli embrioni trasferiti e al 4,55% di tutti gli embrioni prodotti; dei 30.872 embrioni che non sono stati trasferiti non si conosce la sorte!), offrono ulteriori riflessioni relative al “traffico” di gameti ed embrioni congelati. L’incrocio di import/export tra centri italiani e stranieri e la pratica dell’egg sharing crociata di una coppia che offre i propri ovociti in cambio del liquido seminale possono creare nel tempo grandi problemi, già da noi denunciati il 23 settembre 2014 in occasione dei disegni di legge presentati al Parlamento sulla PMA eterologa.

La legittimazione della FIVET/ICSI nella forma eterologa da parte della Corte Costituzionale ha dunque rimesso in campo tutti quei problemi che la legge 40 si era prefissa di evitare o prevenire. Compresa la Diagnosi Genetica Preimpianto (PGT) che ha dato alla legge un risvolto meramente selettivo ed eugenetico.        Riteniamo sia venuto il momento per il Parlamento di resettare il “sistema procreatico”, garantendo quanto meno una maggiore trasparenza e completezza dei dati, ripristinando un protocollo di attuazione delle tecniche che consentano il massimo rispetto della salute psicofisica delle coppie e il maggior beneficio possibile per i figli concepiti in vitro, la loro vita (limitare al massimo le perdite di embrioni concepiti) e il diritto di conoscere la loro paternità e maternità e a prevenire la loro eterna (?) crioconservazione.

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La recente decisione del CdA dell’AIFA (Agenzia del Farmaco Italiana) e degli esperti delle Regioni di poter rendere gratuita la distribuzione delle pillole per contraccezione ormonale alle donne di età inferiore a 26 anni risulta assolutamente inappropriata per le seguenti ragioni.

 Distogliere ulteriori risorse al SSN già in grave difficoltà nel garantire le cure di base – controlli clinici, esami di laboratorio, ecografie, TAC, RMN – ai cittadini, è un evidente danno alla sanità pubblica, un inaccettabile aggravio per le persone malate più fragili e meno abbienti.

  Di contro, i dati riportati nelle Relazioni del Ministero della Salute al Parlamento Italiano sulla Legge 194/78 negli ultimi due anni censiti, 2020 e 2021, e quelli del Rapporto Osmed 2021, evidenziano che il tasso di abortività nelle fasce di età delle donne comprese tra i 15 e i 24 anni è aumentato a livello nazionale e, paradossalmente, proprio in quelle Regioni che già da diversi anni distribuiscono gratuitamente le pillole estroprogestiniche (E.P.) alle donne sotto i 26 anni (Emilia-Romagna, Toscana, Lazio, Puglia e Piemonte) e in quelle con maggior consumo di pillole E.P. (Sardegna e Liguria); l’Umbria, la terza Regione per numero di Consultori pubblici (2,9/10.000 donne di 15-49 aa.), ha fatto registrare il maggior incremento percentuale delle Interruzioni Volontarie della Gravidanza (IVG) nel 2021 rispetto al 2020.

Alla luce di questi dati inoppugnabili non riusciamo a comprendere il motivo per cui il Cda dell’AIFA tra le sue priorità ponga la distribuzione gratuita delle pillole E.P. alle utenti di età inferiore a 26 anni e non quella di ridurre i prezzi di vendita di tanti farmaci necessari per curare i cittadini italiani o di inserirli nell’elenco dei farmaci prescrivibili dal SSN.

Per l’articolo completo di dati e tabella cliccare sul link seguente:

L’AIFA SI PREOCCUPA DI SPERPERARE IL DANARO PUBBLICO PER DISTRIBUIRE GRATIS LA PILLOLA, MENTRE GLI ITALIANI ATTENDONO MESI PER FARE ACCERTAMENTI INDISPENSABILI PER CURARSI

Comunicato Stampa n. 5 del 19 ottobre 2023

ABSTRACT

La novità più importante riscontrata nella Relazione annuale del Ministro della Salute al Parlamento sulla applicazione della L. 194/78 pubblicata il 6.10.2023 è la tabella 27, che – dopo le nostre critiche ripetute ogni anno e la dimostrazione fatta nel nostro comunicato stampa n. 3 del 4 luglio 2022 – riporta un numero di complicazioni (1.333) nettamente superiore a quelle dell’anno 2020 (490) ed ancora 1.347 dati non rilevati.

        Le complicanze associate alle Interruzioni Volontarie della Gravidanza (IVG) effettuate entro i primi 90 giorni, pur non potendo considerare ben 737 casi non riportati, risultano essere 3,7 volte più frequenti per le IVG farmacologiche rispetto a quelle chirurgiche.

L’alto uso di contraccettivi non porta ad una significativa riduzione del rapporto di abortività nelle popolazioni in cui ciò è già in atto. Ne sono prova gli alti tassi di abortività nelle regioni italiane nelle quali si registra un più alto consumo di contraccettivi: la Liguria, o vengono offerti gratuitamente da anni ad alcune categorie di donne: il Piemonte, l’Emilia Romagna, la Puglia, la Toscana e il Lazio.

Nel paragrafo 3 a pag. 11 – Divulgazione delle informazioni – ci preme segnalare una carenza importante in questo progetto, cioè la completa assenza di attenzione alle Associazioni, che sono da molti decenni impegnate nell’aiuto alle Donne in difficoltà per il sopraggiungere di una gravidanza inaspettata, che possono offrire aiuti concreti in situazioni di difficoltà alle Donne e favorire l’accoglienza del figlio/a inaspettato/a ed evitare loro il dramma ed il trauma dell’aborto.

Nelle conclusioni il Ministro della Salute sottolinea l’aumento – dopo 10 anni di discesa – del tasso di abortività registrato nel 2021 nelle minorenni italiane, passato in un anno dall’1,94‰ al 2,06‰ con un incremento di 105 IVG su 3.364 ragazze di 15-17 anni in più rispetto all’anno precedente.

Se affianchiamo a questo dato quello del consumo delle pillole del giorno dopo e dei 5 giorni dopo in Italia nel 2021 (616.358 confezioni, cioè 60.474 in più del 2020!) di cui le minorenni costituiscono la maggioranza assoluta delle acquirenti senza ricetta medica, si evidenzia un “costume sessuale” molto allarmante per le minorenni, meritevoli di più adeguati programmi educativi degni di questo nome.

ARTICOLO COMPLETO

             La relazione del Ministro della Salute al Parlamento sull’applicazione della legge 194/1978 – Interruzioni Volontarie della Gravidanza (IVG) nell’anno 2021 pubblicata il 6 ottobre u.s. con sei mesi di ritardo rispetto all’anno precedente, presenta – come sempre – molte lacune e dati differenti nelle diverse pagine, che richiedono un’attenzione particolare per ricostruire la reale entità del fenomeno.

La novità più importante riscontrata in questa relazione è la tabella 27, che – dopo le nostre critiche ripetute ogni anno e la dimostrazione fatta nel nostro comunicato stampa n. 3 del 4 luglio 2022 – riporta un numero di complicazioni (1.333) nettamente superiore a quelle dell’anno 2020 ed ancora 1.347 dati non rilevati. Molto probabilmente tra questi ultimi sono comprese altre complicazioni non rilevate, come possiamo affermare con certezza per l’Umbria (155 dati non rilevati), che hanno fatto registrare 85 ricoveri ordinari, (vedi documento della Regione Umbria – Ricoveri Ordinari – Attività (Strutture Umbre) – Diagnosi 635), e non 13 come riportato nella tabella 26 della relazione ministeriale.

Il grafico riassuntivo a pagina 59 così come riportato non aiuta a comprendere la reale entità delle complicazioni legate alle ivg farmacologiche; aggiungendo infatti i numeri grezzi alle rispettive percentuali – anche non tenendo conto delle 737 voci non rilevate! – le complicazioni per le IVG farmacologiche risultano essere 3,7 volte maggiori di quelle chirurgiche.

È anche illusorio pensare e diffondere l’idea che aumentando il consumo di contraccettivi si possa ridurre il numero degli aborti volontari!

L’alto uso di contraccettivi infatti, non porta ad una significativa riduzione del rapporto di abortività nelle popolazioni in cui ciò è già in atto. Ne sono prova gli alti tassi di abortività delle seguenti regioni italiane nelle quali si registra il più alto consumo di contraccettivi: la Liguria al 1° posto tra le Regioni per tasso di abortività (7,4/1.000 donne 15-49 anni) e al 3° posto per consumo di contraccettivi, con 208 DDD (dosi giornaliere)/1.000 donne di 12-50 anni (vedi Rapporto Osmed 2021 pag. 197); il Piemonte al 2° posto con tasso di abortività 6,6, seguito dall’Emilia Romagna con 6,5‰, dalla Puglia (6,2‰), dalla Toscana (6,1‰) e dal Lazio (6,0‰ donne 15-49 anni), Regioni in cui da anni è stata distribuita gratuitamente la pillola contraccettiva ad alcune categorie di donne.

Nel paragrafo 3 a pag. 11- Divulgazione delle informazioni – ci preme segnalare una carenza importante in questo progetto, cioè la completa assenza di attenzione alle Associazioni, che sono da molti decenni impegnate nell’aiuto alle Donne in difficoltà per il sopraggiungere di una gravidanza inaspettata, che possono offrire aiuti concreti in queste situazioni alle Donne, favorire l’accoglienza del figlio/a inaspettato/a ed evitare loro il dramma ed il trauma dell’aborto.

Nelle conclusioni il Ministro della Salute sottolinea l’aumento – dopo 10 anni di discesa – del tasso di abortività registrato nel 2021 nelle minorenni italiane, passato in un anno dall’1,94‰ al 2,06‰ con un incremento di 105 su 3.364 ragazze di 15-17 anni in più rispetto all’anno precedente.

Se quanto affermato da Alessandra GRAZIOTTIN* – Direttore del Centro di Ginecologia dello Ospedale S. Raffaele di Milano nell’Incontro di presentazione del «PATENTINO DEL SESSO SICURO» promosso dalla SIGO (Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia) –  circa il fatto che “più del 50% delle confezioni  sono state acquistate  da ragazze con meno di 20 anni  (+ 4% rispetto al 2010) di cui  34.000 nel solo mese di agosto 2011”, si possa essere verificato anche per il 2021, la situazione sarebbe molto grave per le minorenni. Infatti, le pillole del giorno dopo e dei 5 giorni dopo consumate in Italia nel 2021 sono state complessivamente 616.358 confezioni, cioè 60.474 in più del 2020! Un serio campanello o sirena di allarme per le tutte agenzie educative che non possono più sottovalutare questo “costume sessuale” nelle nuove generazioni che pertanto meritano di più adeguati programmi educativi degni di questo nome.

Comunicato Stampa n. 4 del 2 settembre 2023

RIASSUNTO:

Nel Consenso informato il medico non può omettere di mostrare alla donna che richiede un’azione “medica” le immagini e i segni di vitalità dell’essere umano nell’utero materno coinvolto dalla suddetta azione “medica”.

La campagna per “Un cuore che batte” riporta alla luce la realtà scientifica della vita umana concepita e viva nel grembo materno.

Il riconoscimento da parte della madre della presenza vitale di un essere umano, il figlio, all’interno del suo utero, le conferma quanto già percepisce per effetto delle modificazioni anatomiche ed endocrino/neuro/funzionali legate all’inizio della gravidanza dandole tutti gli elementi per una scelta informata, libera e consapevole che la vedrà protagonista e non condizionata da pregiudizi e omissioni altrui e dall’ignoranza.

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La campagna in corso per la raccolta di firme presso i Comuni italiani finalizzata alla presentazione della PLIP che vuole integrare la legge 194/78 all’articolo 14 con il comma 1-bis: “Il Medico che effettua la visita che precede l’interruzione di gravidanza ai sensi della presente legge, è obbligato a far vedere, tramite esami strumentali, alla donna intenzionata ad abortire, il nascituro che porta nel grembo e a farle ascoltare il battito cardiaco dello stesso”, non può lasciarci indifferenti!

 A prescindere dalle considerazioni di opportunismo politico, giuridico o altro che sono state presentate, vorremmo entrare nel merito “medico” e specialistico della proposta.

Premessa tecnica: la rilevazione visiva del battito cardiaco fetale (bcf) può essere effettuata in sicurezza per il feto con gli ultrasuoni (ecografia) in M-mode e B-mode nelle prime 10 settimane di gravidanza

Dunque, il battito cardiaco fetale, anche quando non è consigliato rilevarlo acusticamente, può essere chiaramente visualizzato sul monitor dell’ecografo!

Aspetto deontologico.

 Nel caso specifico dell’ecografia, necessaria a determinare la sede (intra o extrauterina) e l’evolutività della gravidanza, previamente all’intervento di Interruzione Volontaria di Gravidanza (IVG), il medico incaricato potrebbe sentirsi profondamente condizionato ad effettuare un consenso informato valido dalla determinazione della donna che ha già intrapreso un percorso legalizzato di rinuncia al figlio, a tal punto da omettere di mostrare il feto alla madre attraverso il monitor dell’ecografo e, ancor di più, di farle vedere le pulsazioni cardiache ed ascoltare (se in un’epoca della gravidanza oltre la decima settimana) il segnale acustico del battito cardiaco.

Il medico, viceversa, è tenuto deontologicamente a rispettare, oltre che il diritto della madre ad un consenso informato, anche la dignità del bambino presente e vitale che appare sotto la sonda ad ultrasuoni, indipendentemente dai suoi personali orientamenti. Anche se il bambino in utero non fosse considerato “soggetto” di pari dignità, ma soltanto “oggetto” della decisione di altri, è quantomeno doveroso e corretto deontologicamente renderlo visibile per deciderne le sorti! La madre deve poter decidere solo dopo essere stata informata in modo completo. Le informazioni disponibili, tra cui quelle raccolte con l’esame ecografico, vanno comunicate e debitamente documentate da parte del medico, a prescindere dal fatto di essere “obiettore” o “non obiettore di coscienza”.

L’esame ecografico, dunque, pur facendo parte di un percorso finalizzato alla IVG, è parte integrante del “consenso informato” in quanto apporta elementi conoscitivi essenziali per una scelta veramente consapevole e libera della donna. Quest’ultima ha la possibilità e la facoltà di poter revocare la sua decisione abortiva in ogni fase dell’iter assistenziale e dovrebbe esserle garantita una scelta libera, basata su un regolare e completo consenso informato.

Aspetto scientifico ed ontologico

Auspichiamo che venga data alla mamma la possibilità di riconoscere la presenza di un altro essere umano in sviluppo nel suo grembo.

Il prevalere mediatico e culturale del principio dell’“autodeterminazione” in senso assoluto, ha completamente oscurato fino a negarla una presenza umana nell’utero materno,  realtà oggettiva che ha caratterizzato la storia prenatale di ognuno di noi. Solo la negazione della presenza di una nuova vita, unica, irripetibile, autonoma nel grembo della donna che diviene madre sembrerebbe giustificare il diritto insindacabile delle sue decisioni e quindi l’equazione: diritto di scelta della donna = diritto di aborto.

La campagna per “Un cuore che batte” riporta finalmente alla luce la realtà scientifica della vita umana concepita e viva nel grembo materno!

Oscurare deliberatamente questa verità è la prima violenza contro la donna, suo figlio e l’umanità tutta!

Rendere evidente alla sua mamma la presenza di una vita umana, indifesa e bisognosa di essere accolta, è atto di corretta deontologia ippocratica e di vera giustizia!

Infine si consideri la conferma sperimentata della validità di questo approccio clinico rispettoso della madre e del suo bambino, nel salvare la vita dei bambini in utero insieme alla felicità delle loro mamme.

Ogni ginecologo può testimoniare che più di una donna, dopo aver visto sul monitor dell’ecografo il proprio figlio/a muoversi con il suo evidente battito cardiaco, ha chiesto di essere dimessa, anche se già in ospedale, e ha lottato come una leonessa per la vita di suo figlio, qualcuna anche sottoponendosi a terapie per contrastare l’effetto dell’Ru486.

Qualcuna, per riconoscenza, ha anche dato il nome dell’ostetrico al proprio figlio dopo che questi, avendole effettuato un consenso realmente informato, l’ha aiutata ad evitarne l’uccisione.

L’efficacia nel prevenire così l’aborto volontario, in buona parte con evidente piena soddisfazione della mamma, viene dimostrata anche dalle statistiche provenienti da quei Paesi che hanno già adottato, in modo formale e normativo, la modalità dell’esposizione alla madre delle immagini ecografiche del feto e del suo battito cardiaco, prima di essere sottoposta all’aborto volontario.

 Comunicato Stampa n.3 del 22 maggio 2023 

Più di sei milioni di vittime innocenti. Di bambini nella fase più fragile della loro vita. Sei milioni di esistenze umane smembrate, dissolte ed annientate, buttate nei rifiuti pericolosi ospedalieri o, come accade con l’aborto chimico (RU486), anche nei WC delle proprie case. 

45 anni di disprezzo della vita umana più nobile, perché più meritevole di cure ed attenzioni, eppure più povera ed indifesa. 

45 anni di violenza spietata verso gli esseri umani più preziosi perché veri depositari del nostro futuro personale e sociale. 

45 anni di menzogne legittimate e potenziate dal potere mediatico nazionale ed internazionale tanto da indurre le nuove generazioni a considerare l’aborto volontario un nuovo “diritto umano”. Un altro gravissimo esito culturale di quella legge 194 che ha ucciso le coscienze e ancora le inganna facendo assurgere la scelta abortiva ad atto di libertà e di autodeterminazione. Tanto da mettere in discussione il diritto alla obiezione di coscienzada parte del personale sanitario, prevista dalla stessa legge. 

45 anni di inganni e di reticenze sulle gravi conseguenze psico-fisiche dell’aborto volontario, di cui i redattori del “documento” per l’IVG (Interruzione Volontaria della Gravidanza) non informano le donne, come invece dovrebbero per un legittimo “consenso informato”. Donne che scontano per lunghi anni queste conseguenze, senza un supporto adeguato da parte degli stessi Servizi che hanno certificato la loro decisione. 

45 anni di connivenza della Medicina e della Ginecologia corporativa nazionale ed internazionale con i grandi poteri economici ed ideologici che misconoscono intenzionalmente l’inizio della vita umana dal concepimento, tanto da approvare e raccomandare l’utilizzo, anche gratuito, di sostanze ormonali in pillole con prevalente (pillole post-coitali del “giorno e dei 5 giorni dopo”) o possibile effetto abortivo precoce (pillole estro-progestiniche, o solo progestiniche), determinando un numero di “criptoaborti” o aborti “nascosti” molto superiore a quello registrato secondo la legge 194. 

La coscienza formata alla verità scientifica ed etica sulla vita umana concepita, quale quella dei Ginecologi ed Ostetrici Cattolici, non può non denunciare una simile ingiustizia che perdura immutata da 45 anni. La più grave delle ingiustizie contro una moltitudine di esseri umani innocenti ed indifesi. 

La dignità di questi nostri piccoli fratelli e sorelle non nati merita il nostro rispetto e tutto il nostro impegno professionale affinché venga debitamente riconosciuta, in quanto esseri appartenenti alla specie umana e, come tali, soggetti di diritto. Primo fra tutti, dal quale tutti gli altri derivano, quello alla vita 

COMUNICATO STAMPA n. 2

L’Associazione Italiana dei Ginecologi ed Ostetrici Cattolici (A.I.G.O.C.) aderisce alla Manifestazione Nazionale per la Vita del 20 maggio a Roma

L’A.I.G.O.C. annuncia la propria adesione alla Manifestazione Nazionale “Scegliamo la Vita” che si svolgerà il prossimo sabato 20 maggio a Roma.

La Manifestazione “Scegliamo la Vita” intende riaffermare il valore assoluto e intangibile della vita umana dal concepimento alla morte naturale, con particolare riguardo a quelle condizioni esistenziali rese più fragili e critiche da particolari condizioni di disagio sociale e di malattia o disabilità psicofisica.

Insieme alle oltre 100 realtà che hanno già aderito alla Manifestazione “Scegliamo la Vita”, I’A.I.G.O.C. chiede alle istituzioni dello Stato, alle amministrazioni locali, ai partiti, alle imprese private e a tutti gli enti sociali di collaborare per rendere l’Italia una Nazione in cui la vita umana, in ogni sua manifestazione, sia, sempre più, accolta, promossa e tutelata.

Nelle regioni italiane in cui i contraccettivi sono stati dispensati gratuitamente e nelle nazioni del mondo dove l’utilizzo dei contraccettivi è stato favorito, i tassi di interruzione delle gravidanze indesiderate non sono diminuiti, anzi la contraccezione e il numero di aborti sono aumentati in modo simultaneo. La contraccezione gratuita in Italia apporterà un beneficio per la salute delle donne?

Comunicato Stampa n.1 del 25 aprile 2023

La notizia data in un’intervista al Quotidiano Sanità dalla presidente del Comitato Prezzi e Rimborsi (CPR) dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa), a pochi mesi dalla scadenza del suo incarico quinquennale ci lascia molto perplessi per il momento scelto e per la precisazione fatta da QS, che “Il ministero della Sanità, tuttavia, essendo l’Aifa un organismo indipendente, non avrà possibilità di intervenire sulla decisione.

Entrando nel merito della reale utilità di questo provvedimento per ridurre concretamente il numero di aborti volontari ex legge 194/1978, i dati offerti dalla stessa Aifa nella pubblicazione “L’Uso dei Farmaci Rapporto Nazionale anno 2021” dimostrano chiaramente che l’uso dei contraccettivi dal 2015 è in crescita senza la necessità di gravare ulteriormente le finanze dello Stato rendendo gratuito per tutte le età i contraccettivi estroprogestinici.

La figura riportata (tratta dalla pag. 195 del citato Rapporto) ci mostra chiaramente quanto prima affermato e ci permette di valutare la spesa fatta per il 2021, infatti moltiplicando la DDD/1000 ab(donne) al giorno per il numero di donne in età fertile nel 2021(11.965.446) e per 365 giorni si ottiene la spesa reale (138,5 x 11.965.446 : 1.000 x 365 x 0,50), che ammonta a €. 302.441.604, quindi la spesa prevista di 140 milioni di euro è volutamente molto sottostimata già per quanto riguarda il 2021 e lo sarà ancor di più se il numero delle donne che ne faranno ricorso aumenterà!

Se teniamo presente che solo nella Puglia (nel 2008) e nel Piemonte (nel 2018) gli estroprogestinici sono stati dispensati gratuitamente nei consultori familiari alle donne di età <26 anni o se disoccupate (esenzione ticket E02) o colpite dalla crisi (E99) nei 24 mesi successivi ad una IVG (Interruzione Volontaria della Gravidanza) e nei 12 mesi dopo il parto, ci rendiamo conto che la riduzione nel tempo del rapporto di abortività non è legata alla dispensazione gratuita degli estroprogestinici, ma al crescente numero delle fasce di popolazione femminile di età più avanzata (35-49 anni) e quindi meno fertili.

REGIONE Anno  2019 Anno  2020 Anno  2021
PIEMONTE 7,2 6,9 6,42
EMILIA ROMAGNA 7,2 6,7 6,42
TOSCANA 7,1 6,8 6,04
LAZIO 6,2 6,2 5,28
PUGLIA 7,1 6,4 6,28
ITALIA 5.8 5,4 5,17

Tab.1: Il numero indicato è riferito al rapporto di abortività, cioè la quantità di aborti effettuati, nel triennio 2019-2021, ogni 1000 donne di età compresa fra i 15 e 49 anni nelle regioni indicate e la media nazionale.

Per questi motivi riteniamo non legato a necessità obiettivamente sanitarie il tentativo di rendere gratuito e per tutte le età (15-49 anni) a fine mandato l’uso degli estroprogestinici di cui possono trarre vantaggio solo i produttori degli stessi.

Nella vicina Francia, che fa registrare una diffusione quasi a tappeto della contraccezione  (il 91% delle donne in età fertile dichiara di usare contraccettivi) gli autori dello studio realizzato dall’INED che correla l’aborto volontario con l’uso della contraccezione (Magali Mazuy, Laurent Toulemon ed Elodie Baril) affermano “Dal 1970 la diffusione di efficaci metodi di contraccezione ha permesso la diminuzione di frequenza di gravidanze non desiderate, ma quando si verificavano il ricorso all’aborto aumentava, fino a quando il numero totale di interruzioni di gravidanza non è più sceso”.

Anche i fautori della contraccezione di recente  sono stati costretti a riconoscere che la pillola, considerata il più efficace contraccettivo, in effetti ha un’efficacia solo del 91% e che il 24% (circa 15.000) delle 60.952 donne che si sono rivolte per abortire nel 2016 al British Pregnancy Advisory Service (Bpas), che riunisce circa 40 cliniche inglesi e che fornisce informazioni sulla “salute sessuale” e assistenza alle donne che decidono di abortire, usavano contraccettivi ormonali o IUD, ritenuti i più efficaci contraccettivi, e che oltre il 51% di queste donne usavano un contraccettivo. (Women cannot control fertility through contraception alone, says British Pregnancy Advisory Service The Farmaceyutical Journal/11 JUL 2017).

Il periodico dell’ Alan Guttmacher Institute for Planned Parenthood Federation of America, istituzione statunitense che promuove campagne a favore della contraccezione e dell’aborto, ha riconosciuto che “in sei paesi come Cuba, Danimarca, Paesi Bassi, Stati Uniti, Singapore e Repubblica di Corea, il numero degli aborti e l’uso della contraccezione sono aumentati in modo simultaneo.” (C. Marston, J. Cleland, Relationships between contraception and abortion: a review of the evidence in “International Family Planning Perspectives”, Mar 2003, 29 (1), 6-13) e da altri studi si evince che l’aborto è un naturale prolungamento della contraccezione.

È universalmente accertato, infatti, che c’è una notevole differenza di efficacia tra l’utilizzo tipico degli estroprogestinici (0,3% di gravidanze non desiderate nel primo anno di uso) e l’utilizzo pratico (9% di gravidanze non desiderate nel primo anno di uso).

Se a ciò aggiungiamo il fatto che secondo sec. GOLDZIEHER (Contraccezione ormonale pillole, iniezioni, impianti; CIC Int., 1992, pag.34) nelle donne che assumono la pillola nell’1% dei cicli l’ovulazione avviene lo stesso ci rendiamo conto che non è proprio opportuno sperperare il poco danaro pubblico per creare danni alla salute delle donne e non ottenere il risultato di ridurre significativamente e realmente il numero delle gravidanze interrotte.

Comunicato stampa n.5 del 19 novembre 2022

ABSTRACT

La Relazione ministeriale al Parlamento sull’applicazione della legge n.40/2004 nel 2020, presentata il 18.10.2022, conferma ed accentua tutte le criticità che noi AIGOC abbiamo rilevato anche nelle Relazioni degli anni precedenti.

La sospensione dei cicli prima del prelievo ovocitario (10,2%) e dopo il prelievo ovocitario (11,4% per rischio OHSS e 14,4% per altre anomalie ovocitarie) fino ad avere una interruzione dei cicli dopo il prelievo ovocitario  del 44,1% ed il ricovero ospedaliero di 148  donne per serie complicazioni, pone seri interrogativi sul ricorso smisurato della iperstimolazione ovarica, specie nelle donne in età più avanzata per le quali si può valutare preventivamente la scarsa riserva ovarica con esami ormonali (AMH: ormone antimulleriano) ed ecografici. Non è neppure congruo un tale carico ormonale per le donne che vedono poi finire nella crioconservazione buona parte dei loro ovociti perché sovrannumerari rispetto a quelli trasferiti in utero.

Si evidenzia, come negli anni scorsi, il grande scarto tra il numero di embrioni prodotti da ovociti a fresco e scongelati (totale 137.064) rispetto al numero di embrioni dichiarati trasferibili (74.871 pari al 54,2%) e a quelli che sono stati effettivamente trasferiti in utero (31.051 pari al 41,47% degli embrioni trasferibili e al 22,65% degli embrioni prodotti).

Si conferma negli anni ormai, anche la scarsissima efficacia della PMA specie nella forma omologa, sia con ovociti a fresco che crioconservati, ma – sebbene in misura minore – anche nella forma eterologa con donazione di seme, nelle donne dopo i 40 anni di età, soprattutto dai 42 in su, quando la donna della coppia ricevente che viene stimolata per produrre gli ovociti da fecondare col seme donato.

Sempre più critico e drammatico è il crescente numero di embrioni crioconservati. Di fatto, dal 2005 al 2020 è stato posto nei freezer un numero di embrioni percentualmente sempre maggiore, rispetto a quelli trasferiti in utero (34,47% nella omologa nel 2020), a fronte di un numero di embrioni scongelati ben inferiore, tanto da portare il totale degli embrioni “ufficialmente” ancora crioconservati al numero di 140.683! Per la PMA eterologa, poi, non vengono mai riportati gli embrioni che residuano dopo scongelamento e di quelli prodotti non trasferiti in utero, per cui nel 2020 rimangono 20.587 embrioni di cui non si conosce il destino.

Tale situazione esige che il Parlamento ponga un limite alla produzione indiscriminata degli embrioni sovrannumerari che finiscono a -190°C e l’obbligo per la coppia che richiede la PMA – in sede di consenso informato – di impegnarsi a trasferire in utero – anche in più volte – tutti gli embrioni che accetta di crioconservare.

Dal 2004 al 2020 il 92,75% (1.852.492) degli embrioni prodotti sono stati sacrificati per far nascere 144.786 bambini (1 bambino nato vivo ogni 12,8 embrioni prodotti)!

Per quanto fin qui esposto ribadiamo che le tecniche di PMA non possono essere incluse tra le prestazioni LEA perché non sono terapia della sterilità/infertilità coniugale e perché oltre all’evidente svantaggio costo/benefici, producono la morte – ormai da oltre 13 anni documentata – della stragrande maggioranza degli embrioni prodotti e l’esposizione al gelo e a un destino indefinito di centinaia di migliaia di embrioni.

        L’inserimento nei LEA delle Adozioni Internazionali e Nazionali, mediante le quali le coppie non fertili possono con certezza realizzare il loro desiderio di avere figli, offrendo a tanti bambini poveri abbandonati dopo la nascita, la gioia di avere una famiglia che si prende cura di loro e li ama, è più razionale, più giustificabile dal punto di vista costi/benefici, più umano e rispettoso della dignità di ogni essere umano fin dal concepimento.

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Comunicato stampa n. 4 del 6 ottobre 2022

ABSTRACT

La grave denatalità del nostro Paese è assunta come pretesto ad incentivare le tecniche di PMA da parte dei ginecologi italiani della SIGO, così da essere richiesto con “urgenza” l’inserimento nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) di tutte le prestazioni finalizzate alla PMA. Ma analizzando i dati, a partire dalla Relazione annuale del Ministro della Salute al Parlamento italiano, si evidenzia la grande sproporzione tra l’ingente spesa che comporterebbe questo inserimento nei LEA e la scarsa efficacia delle stesse tecniche di riproduzione assistita.

La valutazione di merito della PMA deve prendere anche in considerazione gli esiti neonatali con le più frequenti problematiche: nati pretermine, gemellarità anche plurima, basso peso alla nascita, più alta morbilità e mortalità perinatale, maggiori malformazioni.

Viene anche messa in evidenza non solo la scarsissima efficacia di questi trattamenti, sia nella forma omologa che eterologa, nelle donne di età pari o superiore ai 42 anni, ma anche il rischio di mortalità se all’età è associata l’obesità (IMC pari o superiore a 30Kg/m2).

Alla crescente domanda delle coppie infertili di avere figli, piuttosto che offrire anche gratuitamente la PMA con i suoi ingenti costi in vite umane (embrioni sacrificati) ed economici, si ritiene più meritevole il sostegno dello Stato, attraverso l’ammissione nei LEA, dell’istituto della adozione di bambini abbandonati dai loro genitori nel nostro e nei Paesi più poveri. Questo incentivo economico all’adozione, pari almeno al costo di 3 cicli di Fivet eterologa, unitamente allo snellimento delle procedure burocratiche, risponderebbe pienamente all’obiettivo di una genitorialità desiderata e alla cura di bambini altrimenti abbandonati.

La denatalità richiede azioni impegnative su molti fronti, culturali e sociali, per essere fronteggiata con efficacia. La PMA non sembra avere un impatto sufficientemente significativo su di essa, a fronte di tante risorse impegnate ed esiti numericamente scarsi ed anche problematici per la salute dei bambini e delle madri.

 

ARTICOLO COMPLETO

Con il pretesto di dare soluzioni al grave problema sociale della denatalità, i ginecologi italiani che lavorano nei Centri di fecondazione extracorporea, spingono l’opinione pubblica e i politici ad incrementare il ricorso a queste tecniche che risolverebbero l’infertilità crescente nelle donne e nelle coppie italiane. Peccato invece che, a fronte di un crescente numero di coppie che vi ricorrono, la percentuale di coloro che riescono ad ottenere un “figlio in braccio” raggiunge complessivamente soltanto il 17,38% (ultima Relazione del Ministero della Salute sulla applicazione della L.40/2004 del 12.01.2022, dati relativi al 2019)! Diciamo “soltanto”, perché se consideriamo i numeri assoluti registrati nell’anno 2019 delle coppie (67.633), degli embrioni totali sacrificati (158.617 di cui 73.722 dopo trasferimento in utero), degli embrioni in sovrannumero crioconservati (67.072), appare evidente la sproporzione dei costi in vite umane ed economici rispetto ai risultati ottenuti in questi anni (vedi anche tabella 9 allegata).

Ma per una completa valutazione di merito occorre anche considerare quello che solitamente non viene riportato nella comunicazione mediatica, ossia gli esiti qualitativi della PMA, le problematiche neonatali molto più frequenti in questi casi rispetto ai nati per fecondazione naturale, come riassunto schematicamente nella tabella 11 allegata.

Se tutte le prestazioni finalizzate alla FIVET venissero ammesse nei LEA, così come richiedono con “urgenza” i ginecologi italiani, per ogni coppia, lo Stato dovrebbe elargire Euro 2.750 per ciclo di “omologa” (questo costo è stato approvato dal Ministero della Salute il 13.05.2022), con la possibilità di effettuare un massimo di 3 cicli per coppia (e la maggioranza delle coppie si sottopone a più di un ciclo). Sicuramente verrebbe prevista una spesa superiore ai 3000 Euro per la forma “eterologa” (l’attuale costo “in privato” secondo quanto riportato da “Medicina della Riproduzione”, è di Euro 4.500 con la donazione di spermatozoi, Euro 6.500 con ovodonazione/embriodonazione). Ma per queste forme “eterologhe” le tariffe non sono state ancora definite da parte del Ministero della Salute.

Si può pertanto dedurre con buona approssimazione l’ammontare della spesa totale annuale, solo per le forme “omologhe”, sulla base dei dati dell’ultima Relazione ministeriale per l’anno 2019. Se il numero dei cicli effettuati per la fecondazione “omologa” è stato di 50.324 per quella “a fresco” e di 23.157 per quella con scongelamento di ovociti ed embrioni, per un totale di cicli pari a 73.481, la spesa totale corrisponderebbe a Euro 202.072.750. E soltanto per la forma “omologa”! Nel 2019 sono stati anche effettuati in totale 8.955 cicli di fecondazione “eterologa”. Se, per auspicata ipotesi (includendo generosamente anche i costi per la crioconservazione degli ovociti e degli embrioni e quelli per la diagnosi pre-impianto) la spesa per un ciclo di questa forma di FIVET fosse di Euro 3.000, si aggiungerebbero ulteriori Euro 26.985.000! Si comprende allora, da un lato, la grande sproporzione tra questo auspicato ma ingente investimento statale e lo scarso risultato delle stesse tecniche che ha permesso la nascita di 12.797 bambini, pari soltanto al 3,04% di tutti i nati (420.084) dell’anno 2019! Dall’altro lato, si capisce tutto l’interesse economico che muove i ginecologi italiani impegnati in questa attività.

Ma le Relazioni del Ministro della Salute al Parlamento italiano sulla applicazione della Legge n.40/2004, oltre a questi dati generali riportati nella tabella 9 che negli anni vengono confermati come particolarmente preoccupanti, e a quelli degli esiti di salute per i bambini nati con queste tecniche come riassunte nella tabella 11 (maggior numero di gemellarità anche plurime, di parti pretermine, di basso peso alla nascita, di malformazioni, di morbilità e mortalità perinatale), se ne rilevano ancora altri sul versante materno, tali da far ritenere inammissibile la inclusione di queste tecniche (non certamente terapie!) nei LEA.

Infatti, la dimostrata e confermata peggiore inefficacia delle tecniche di fecondazione extracorporea omologa ed eterologa per le donne appartenenti alle classi di età uguali o superiori ai 42 anni non dovrebbe rendere ammissibile la loro inclusione nei LEA; ancor più per le donne con IMC (indice di massa corporea) uguale o superiore a 30 Kg/m2 e/o con età uguale o superiore ai 42 anni, che hanno un rischio aumentato di morte.

A tale riguardo, nell’ultima Relazione viene omessa la notizia riportata nel Primo Rapporto ItOSS. Sorveglianza della Mortalità Materna negli anni 2013-2017, pubblicato nel 2019 dall’Istituto Superiore della Sanità, nel quale a pagina 19 si legge “Oltre all’obesità un’altra condizione frequente tra le donne decedute è il ricorso alle tecniche di Procreazione Medicalmente Assistita (PMA). L’11,3% delle morti materne (12/106) riguarda donne che hanno concepito mediante tecniche di PMA (6 ICSI, 5 FIVET e 1 tecnica non nota). La percentuale di morti materne associate a PMA rilevata dal Sistema di sorveglianza del Regno Unito è pari al 4%, molto più bassa di quella italiana. La proporzione di gravidanze ottenute mediante tecniche di PMA è invece analoga nei due Paesi, pari a circa il 2% (5, 7, 8) e pertanto non giustifica la diversità nella frequenza degli esiti. L’unica differenza che sembra associabile alla minore proporzione di morti materne nel Regno Unito riguarda la norma vigente in quel Paese in base alla quale il Servizio Sanitario pubblico non offre PMA alle donne con IMC ≥ 30 Kg/m2 e/o età ≥ 42 anni. Controllando tali caratteristiche nelle donne decedute in Italia emerge che 7/12 hanno IMC ≥ 30Kg/m2 e 4/12 un’età ≥ 42 anni. Alla luce di questi dati riteniamo opportuno considerare anche nel nostro Paese una possibile regolamentazione dei criteri di accesso alle tecniche di PMA nel Servizio sanitario pubblico. La revisione dei casi segnalati alla sorveglianza ItOSS ha infatti evidenziato alcune criticità quali, per esempio, due donne che avevano concepito mediante PMA e che sono decedute per tromboembolia, una dopo un aborto spontaneo in gravidanza gemellare a 42 anni di età e con IMC = 39 Kg/m2 e una seconda deceduta alla 19esima settimana di gravidanza all’età di 43 anni e IMC = 31 Kg/m2. Il 55,4% delle donne decedute è nullipara e 10 delle 106 gravidanze esitate in morte materna sono multiple, 8 delle quali a seguito di concepimenti da PMA.”

Esporre, dunque, donne di età uguale o superiore ai 42 anni ed obese, ad un reale rischio di morte, a fronte poi di un risultato molto scarso di maternità mediante PMA, è evidentemente un azzardo per nulla giustificabile a danno della salute delle stesse donne, e che il nostro SSN non dovrebbe permettere.

Riteniamo dunque che, a fronte di una crisi demografica gravissima per la bassissima natalità, e in presenza di una concomitante grave situazione economica, lo Stato non possa rendere disponibili ingenti risorse economiche attraverso l’inserimento nei LEA di trattamenti scarsamente efficaci e talora pericolosi come la PMA in tutte le sue forme.

È invece doveroso ed improcrastinabile che le coppie che cercano di adottare bambini abbandonati dai loro genitori in Paesi poveri possano essere aiutati per legge con un rimborso spese pari almeno al costo di 3 cicli di PMA eterologa. Queste adozioni meritano di essere inserite al più presto nei LEA, perché oltre a poter dare alle coppie la gioia di avere dei figli, offrono il calore di una famiglia a tanti bambini abbandonati, senza esporre a morte certa l’88,62% dei loro fratellini concepiti in provetta per poter vedere la luce del sole!

La grave denatalità può essere affrontata con efficacia soltanto con serie “misure” e provvedimenti che incidano concretamente sul piano sociale e culturale favorendo la genitorialità naturale, tanto compromessa dalle oggettive difficoltà per le coppie di avere una loro autonomia ed autosufficienza di mezzi; come pure, sul piano culturale e di costume, dal ricorso all’aborto volontario e alla contraccezione d’emergenza che rivelano il radicarsi di una mentalità anti-vita.

 

 

Comunicato Stampa n. 3 del 4 luglio 2022

Abstract:

Da molti anni abbiamo il dubbio che i dati forniti dalle Relazioni del Ministro della Salute al Parlamento sull’applicazione della legge 194/1978 siano molto inferiori a quelli reali, in particolare quelli riportati nelle tabelle sintetiche in calce alla relazione. L’anno scorso abbiamo avuto uno scambio via mail con la Responsabile del Processo Indagine sulle IVG dell’Istat e con i Referenti di Epicentro su questo argomento, ma al di là degli inviti reiterati in questa ultima relazione a svolgere meglio la raccolta dei dati non abbiamo potuto notare significativi miglioramenti nel servizio.

La tabella riportata a pagina 55 della relazione ci ha offerto lo spunto per iniziare la riflessione di quest’anno: i dati da essa riportati da noi esplicitati con i numeri accanto alle percentuali fornite, che meglio rendono l’idea della situazione confermano quanto da noi affermato nel nostro Comunicato Stampa n. 5 del 27 agosto del 2020, cioè che le ivg farmacologiche comportano un maggior numero di complicazioni (989 / 23.008 ivg) rispetto a quelle chirurgiche (260 / 43.405).

In Umbria abbiamo avuto la possibilità di confrontare i dati forniti dalla Relazione Ministeriale – in particolare delle Tabelle 26 e 27 – con i dati ottenuti dalle SDO (Schede di Dimissione Ospedaliera): chi avrà la pazienza di leggere tutto il comunicato potrà prendere atto che la realtà è molto più drammatica di quello che la tabella di pagina 55 ci presenta.

* * * * *

Comunicato

I dati riportati in questa tabella di pagina 55 dell’ultima Relazione del Ministro della Salute al Parlamento sull’applicazione della legge 194/1978 nell’anno 2020, da noi modificata aggiungendo la consistenza numerica alle percentuali confermano quanto da noi affermato nel Comunicato Stampa n. 5 del 27 agosto 2020, cioè che le ivg farmacologiche sono gravate da un maggior numero di complicanze, che nel 2021 potrebbero essere più numerose essendo le nuove norme sull’aborto farmacologico usate non in tutte le Regioni e negli ultimi tre mesi e mezzo dell’anno 2020.

Chi si limita ad una lettura frettolosa della relazione e si ferma a dare maggiore attenzione alle 32 Tabelle riassuntive contenute nella Relazione si potrebbe fare un’idea completamente diversa della situazione.

            Sopra è riportata la Tabella 27 “IVG e complicanze, 2020”: secondo questa tabella le complicazioni totali registrate sarebbero 490, cioè il 7,4 x 1.000. Nella parte inferiore abbiamo riportato i dati trovati sul sito ISTAT relativi all’Italia per l’anno 2020: non c’è un numero che coincida pur essendo unica la fonte. Sul sito dell’ISTAT troviamo 720 mancato/incompleto aborto, assenti completamente nella Tabella 27, nella quale ci sono Regioni come la Liguria e l’Umbria in cui sembrerebbe che le complicazioni non siano state rilevate rispettivamente nel 19,5% (Liguria) e 15,5% (Umbria) dei casi.

Nella relazione leggiamo più volte “si sottolinea ancora una volta l’importanza da parte dei professionisti che operano nelle strutture di riportare e registrare tutte le informazioni richieste dalla legge 194/1978 sul questionario, …”, ma a quanto pare quando vengono fatte le tabelle è un altro il criterio che viene adottato!

La tabella 1 conferma quanto prima affermato, cioè che il maggior numero di giornate di degenza è legato alle ivg farmacologiche.

Ma è possibile fare altre più approfondite analisi partendo proprio dai dati riportati in queste tabelle: nella tabella 27 per l’Umbria sono riportate 3 casi di emorragia, 6 casi di altro e 128 casi di dato non rilevato. Nel sito ISTAT possiamo leggere: 3 casi di emorragia, 2 casi di Incompleto/mancato aborto, 6 casi di altro e 128 casi di dato non rilevato.

I dati umbri riportati nella Tabella 27 sono meno completi dei dati offerti a pagina 3 del Questionario annuale ISS (Istituto Superiore Sanità) sull’andamento delle IVG nell’anno 2020 inviato alla Regione Umbria.

Entrambi sono molto lontani dalla situazione reale, che appare in modo chiaro ed inequivocabile andando a consultare le SDO (schede dimissione ospedaliera) delle donne che si sono sottoposte ad IVG nell’anno in oggetto, che di seguito riportiamo:

Partiamo dalla colonna Nessuna complicazione: andando a verificare il numero delle donne ricoverate per IVG farmacologica (Codice diagnosi 635* (qualsiasi posizione) e codice procedura 9924 (qualsiasi posizione) troviamo 67 ricoveri ordinari e 132 in DH/DS per un totale di 199 ricoveri con 469 giornate di degenza. Nella colonna Aborto incompleto o mancato abbiamo 62 ricoveri in DH/DS con diagnosi 63590 (IVG senza complicazione riferita, non specificato se completo od incompleto), che hanno comportato una degenza di 151 giornate e 49 ricoveri (2 ordinari e 47 in DH/DS) con diagnosi 63591 (IVG senza complicazione riferita, incompleto) per un totale di 146 giornate di degenza. Nella colonna SHOCK abbiamo un ricovero in DH/DS con diagnosi 63550 con 2 giornate di degenza. Sommando abbiamo 311 ricoveri per un totale di 766 giornate di degenza per le sole IVG farmacologiche, molto più numerose di quelle riportate nella tabella 27 (9 ricoveri + 128 dati non rilevati) per tutte le IVG – chirurgiche + farmacologiche – effettuate nell’anno 2020!

Non conteggiando i 199 casi classificati “nessuna complicazione”, ma che hanno richiesto 199 ricoveri e determinato 469 giornate di degenza, i soli ricoveri per mancato/incompleto aborto (111) e per shock (1) rappresentano il 33,6% delle complicazioni registrate in Umbria nelle donne sottoposte ad IVG farmacologica, nettamente superiore alla % nazionale (2,9%) riportata nella tabella dell’ISTAT di pagina 55 della relazione ministeriale!

La tabella 4 ci fa vedere che nei 486 casi di IVG chirurgiche senza complicazione riferita e con aborto completo (codice 63592) ci sono stati 6 ricoveri ordinari con 9 giornate di degenza e 480 ricoveri in DH/DS con 481 giornate di degenza; 29 casi di IVG senza complicazione riferita, non specificato se completo o incompleto con un ricovero ordinario (codice 63590) con 23 giornate di degenza e 28 ricoveri in DH/DS con 29 giornate di degenza; 1 caso di IVG chirurgica completa con insufficienza renale (codice 63532) con 1 giornata di ricovero in DH/DS; 3 casi di IVG incompleta (63591) con 2 ricoveri ordinari e 4 giornate di degenza ed 1 ricovero in DH/DS con 1 giornata di degenza.

Conteggiando anche per le IVG chirurgiche solo i mancati/incompleti aborti (33) registriamo in Umbria un’incidenza del 6,07%, nettamente inferiore a quella registrata nelle ivg farmacologiche (33,6%).

            Ci stupisce come nella tabella 27 nella riga dell’Umbria non sia registrato alcun caso di mancato/incompleto aborto!

Nella tabella 26 leggiamo che in Umbria nel 2020 ci sono stati 688 ricoveri con <1 giornata di degenza, solo 9 ricoveri con degenza di 2 – 3 giorni per un totale di 60 giornate di degenza e 88 casi in cui il dato non è stato rilevato; dalle SDO delle donne che si sono sottoposte ad IVG in Umbria nel 2020 risulta, come si può vedere nella tabella sotto riportata, che ci sono stati 832 ricoveri con almeno 1 giornata di degenza per un totale di 1.949 giornate di degenza.

Sorge spontanea una domanda: chi ha compilato queste tabelle dove ha preso i dati e quale controllo è stato fatto per verificarne la correttezza?

Se in una Regione piccola come l’Umbria di 263 ricoveri con degenza di durata ≥ 2 giorni (pari 806 giornate di degenza) vengono riportati solo 9 casi di 2-3 giornate di degenza (per un totale largo di 27 giornate di degenza) – cioè lo 0,034% dei dati reali – e 88 dato non rilevato (N.R.) come ci si può fidare degli estensori di queste tabelle e delle autorità che li avallano pubblicandoli nella Relazione annuale al Parlamento del Ministro della Salute sull’applicazione della legge 194/1978 ?

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