“La verità è come il cauterio del chirurgo: brucia, ma risana”

Si è proprio vero quanto afferma Riccardo Bacchelli e lo dimostra quanto ha dichiarato Andrea Filippi su LEFT il 10 ottobre in merito all’intervento di Papa Francesco sull’aborto volontario.

Se anche il dottor Filippi come i più anziani tra noi ha ricevuto – come era in uso fare finché la medicina ed i medici erano al servizio della vita di ogni essere umano– al momento della proclamazione della laurea in medicina e chirurgia la pergamena con il Giuramento di Ippocrate, sa benissimo che l’aborto è stato ancor prima del Cristianesimo ritenuto una pratica non degna della professione medica, che è sempre votata alla salvaguardia ed alla cura di ogni vita umana.

Ebbene il rispetto della vita umana ed il rifiuto dell’aborto volontario non sono un fatto che riguarda solo i Cristiani, ma tutti gli uomini, un segno di vera civiltà!

Papa Francesco, come Vescovo di Roma e Pastore Universale della Chiesa Cattolica da alcune settimane sta parlando a tutti i Cattolici del mondo ed a tutti gli uomini di buona volontà nelle udienze generali del mercoledì delle Dieci Parole o Dieci Comandamenti ed il termine da Lui usato nel trattare il “V Comandamento: Non uccidere” riferendosi all’aborto volontario è meno duro di quello che più propriamente avrebbe potuto usare e che tutti usiamo utilizzare quando parliamo di “pena di morte”.

Quando viene soppressa la vita umana più debole, più indifesa e più innocente nel luogo più sicuro fino a qualche decennio fa, l’utero materno, primordiale luogo della vera solidarietà umana, ad opera di un dipendente del S.S.N. il termine usato dal Santo Padre non è affatto improprio e fuori luogo!
A tal proposito tocca ricordare che Papa Francesco di recente ha fatto modificare il Catechismo della Chiesa Cattolica riguardo alla “pena di morte” definendola contraria al Vangelo, per cui se in nessun caso ritiene che si debba ricorrere alla soppressione della vita di un assassino, a maggior ragione deve alzare la voce e chiamare per nome l’uccisione della vita umana più debole, indifesa ed innocente.

Nessuna offesa personale, ma una chiara definizione della realtà dei fatti!
Il riferimento all’eugenismo di hitleriana memoria rientra nel coraggio di chiamare per nome gli atti che vengono compiuti smascherando ogni tentativo di camuffamento linguistico: se eliminare le persone ritenuti inutili è un crimine contro l’umanità quando ad ordinarlo é Hitler, la realtà non cambia quando a proporlo e ad eseguirlo è un medico con il beneplacito della madre o di entrambi i genitori.

Attribuire a Papa Francesco una serie di pronunciamenti non in nome della verità sulla persona umana ma sulla base di strategie politiche, è un modo superficiale di argomentare da chi a tavolino, non ha argomentazioni scientifiche, antropologiche, giuridiche e sociali.

L’affermazione “la scienza, con le sue evidenze scientifiche, il nostro unico punto di riferimento” è quanto di più falso e manipolatorio si potesse dire, perché è proprio la scienza a dimostrare senza ombra di dubbi che “la vita umana inizia nel momento in cui lo spermatozoo penetra nella cellula uovo (fecondazione), per cui ogni atto compiuto dopo non può che essere considerato morte procurata di un essere umano debole, indifeso ed innocente.

Il supposto problema dei medici obiettori che ostacolano l’applicazione della legge 194 la CGIL sa bene che non esiste perché è stato ampiamente dimostrato il contrario e nell’ultima relazione ministeriale si può leggere che in media ogni ginecologo non obiettore nel 2016 ha fatto 1,6 aborti volontari a settimana.

Infine, la salute psicofisica delle donne si salvaguarda aiutandole ad evitare il dramma dell’aborto e prendendosene cura dopo l’aborto non limitandosi ad offrire contraccettivi abortivi, ma ricercando e trattando i sintomi della sindrome post abortiva.

Nel precedente comunicato stampa ci siamo limitati a segnalare la carenza ed incompletezza dei dati relativi alle fecondazioni extracorporee (tecniche di II-III livello) con donazioni di gameti, in questo comunicato li analizzeremo nel dettaglio.

Il numero delle coppie trattate erano 4.933 per un totale di 5.533 cicli in 83 centri prevalentemente privati (67), la maggior parte dei quali (49 centri) si trovano in Emilia e Romagna, Toscana, Lazio e Sicilia.

L’età media delle donne riceventi varia notevolmente: 35,2 anni per le donazioni di seme, 40,6 anni per le donazioni di ovociti a fresco, 41,4 anni per le donazioni di ovociti crioconservati, 40,6 anni per le donazioni di embrioni crioconservati dopo una donazione (n.b.: utilizziamo la terminologia usata nella relazione ministeriale, anche se ci sono moltissimi dubbi che possa trattarsi di vere donazioni!).

La tabella a fianco riportata dimostra chiaramente, che più che di sterilità patologica nella maggior parte dei casi di utilizzo di ovociti e/o di embrioni si tratta di fisiologica ridotta fertilità legata all’età delle richiedenti: il 79,7% dei trasferimenti eseguiti con donazione di ovociti crioconservati ed il 70,8% di quelli con embrioni crioconservati è utilizzato nelle donne di età ≧ 40 anni.

La carenza e l’incompletezza dei dati relativi alla fecondazione extracorporea eterologa appare chiaramente voluta, perché non troviamo un motivo che spieghi il fatto che non siano stati almeno usati gli stessi criteri – anche se più volte da noi criticati – usati da più di un decennio per l’omologa.
Manca una figura simile alla fig. 3.4.3 di pag. 111 ed una tabella simile alla tab. 3.4.13 di pag.

112, che ci permette di conoscere quanti ovociti nei 5.533 cicli sono stati prelevati nelle coppie con donazione di seme e nelle donne che hanno fatto una donazione a fresco, scongelati provenienti dallo stesso centro od importati, quanti ovociti hanno utilizzato i centri esteri che hanno esportato in Italia embrioni utilizzando il seme inviato dai centri italiani.

Nessuna informazione ci è dato conoscere su eventuali congelamenti di ovociti prelevati a fresco o su embrioni prodotti come ad es. la tab.3.4.17 pag. 114 o la tab. 3.4.26 di pag. 123.

Nella relazione non vi è alcun cenno sul numero degli embrioni prodotti e crioconservati regione per regione né sugli embrioni ed ovociti importati in notevole eccesso rispetto alle coppie da trattare.

Appare molto semplicistica la procedura per le importazioni e le esportazioni di gameti e di embrioni considerato che 410 comunicazioni hanno permesso l’importazione di 3.040 criocontenitori di liquido seminale, 378 l’importazione di 6.239 criocontenitori di ovociti (provenienti per il 96,8% dalla Spagna!) e 116 per importare 2.865 criocontenitori di embrioni.

Suscita molte perplessità il fatto che si parli di importazione di embrioni crioconservati prodotti all’estero dopo donazione prevalentemente di ovociti: come mai non sono stati importati i soli ovociti?

Forse perché fecondandoli all’estero il rimborso spese per il centro poteva essere maggiore? E’ previsto per questi embrioni e per quelli dello stesso centro un test di paternità in caso di donazione di ovociti e di maternità in caso di donazione di liquido seminale?

Più volte nella relazione (pag. 147-149, 151-153), si ripete che in 146 di questi cicli c’è stata una doppia donazione, cioè sia il liquido seminale (in tutti i cicli crioconservato) sia gli ovociti (in 145 cicli crioconservati ed in uno a fresco) non appartenevano alla coppia richiedente ed a pag. 152 si apprende che sono nati 39 bambini dai 31 parti delle donne che hanno portato in grembo uno o più figli geneticamente estranei alla coppia.

Questi 146 cicli – e non solo questi! – sono i frutti acerbi degli interventi della Magistratura: come la sentenza della Corte Costituzionale n. 151/2009 ha dato il via libera alla massiccia e crescente crioconservazione degli embrioni, così la sentenza n. 162/2014 ha consentito di riferire dei 146 casi sopracitati e l’importazione di embrioni crioconservati presumibilmente in gran parte il risultato di fecondazioni eterologhe avvenute all’estero con seme esportato dall’Italia (pag. 14).

Tutto questo è avvenuto ed avviene con la compiacenza del Governo e del Parlamento a guida PD allora esistente e di quelli attuali se non intervengono al più presto a livello legislativo per contenere al massimo i due fenomeni sopradescritti.

La tab. 7 presenta in modo sintetico quello che molto verosimilmente è avvenuto nel 2016 ricostruito tenendo conto dei pochi dati offerti dalla relazione ministeriale di quest’anno e le informazioni fornite nella relazione dell’anno precedente riguardo al numero di ovociti (6-7: cfr. pag. 9 e 215 relazione 2017) e di embrioni (1-2: cfr. pag. 9 e 217 relazione 2017) presenti in ogni criocontenitore.

A.I.G.O.C. Associazione Italiana Ginecologi Ostetrici Cattolici Segreteria: Via Francesco Albergotti, 16 00164 Roma – segreteria@aigoc.it – www.aigoc.it Tel. 3429381698 – C.F: 97576700583 – IBAN: IT 43 I 0200805314000401369369

Oltre l’eccessiva importazione di gameti ed embrioni crioconservati – di gran lunga superiore al fabbisogno annuo! -, che tenendo conto di quelli esportati, nel 2016 ha fatto si che nei crioconservatori dei centri si siano aggiunti almeno 3.512 criocontenitori di ovociti (22.828 ovociti) e 1.365 criocontenitori di embrioni (1.964 embrioni) segnaliamo il notevole aumento degli embrioni prodotti e crioconservati (9.799), superiore al numero degli embrioni trasferiti in utero (8.958), significativamente superiore in % (52,24) a quello del 2015 (39,54%).

La % delle coppie con uno o più figli in braccio è inferiore (23,23%) rispetto a quella del 2015 (25,54%).

Dopo 14 anni di applicazione della legge 40/2004 abbiamo tutti gli elementi necessari per comprendere che le tecniche di fecondazione extracorporea – sia omologhe che eterologhe – non sono terapia della sterilità o della infertilità di coppia e come tali non possono essere incluse nei LEA.

La loro efficacia (coppie con figlio/i in braccio) non ha mai superato il 16,54%.

Le citate sentenze della Corte Costituzionale hanno permesso – in assenza di un intervento del Parlamento – di surgelare un numero spropositato di embrioni (35,3% nel 2016 vs 31% nel 2015 nelle tecniche di II e III livello omologhe) con punte ancora superiori in alcune Regioni (Calabria 58,9%, Lazio 57%, P.A. Bolzano 51,7%, Umbria 45,7%) e del 52,24% nelle fecondazioni extracorporee eterologhe.

Le tecniche di II e III livello con donazioni di gameti, tutte vietate prima nel testo della legge 40 approvato dal Parlamento, dopo la sentenza della Corte Costituzionale sono senza regole, per cui leggiamo nella relazione dei 146 cicli nel 2016 con doppia donazione di liquido seminale e di ovociti e di importazioni di embrioni alcuni dei quali potrebbero avere la stessa origine dei 146 cicli registrati come tali!

In che modo viene garantito il divieto di acquisto e di baratto dei gameti e degli embrioni sia in Italia che all’estero?

Gli embrioni sono esseri umani nelle primissime fasi del loro sviluppo (Nature Genetics 49, 941- 945, 2017) e non possono e non debbono mai essere trattati come oggetti!

Ci auguriamo che al più presto il Parlamento intervenga per meglio regolamentare il ricorso a queste tecniche tenendo presente più il rispetto della dignità e della vita degli embrioni – dal 2010 la fecondazione extracorporea è la prima causa di morte certificata degli embrioni – che gli interessi dei centri di PMA, delle ditte farmaceutiche, degli altri enti e dei professionisti interessati al proliferare di queste tecniche.

Non si può soddisfare un pur legittimo desiderio di un figlio al prezzo altissimo della morte di un numero nettamente superiore di esseri umani deboli, indifesi, innocenti.

La relazione annuale del Ministro della Salute al Parlamento sull’applicazione della legge 40/2004 relativa all’anno solare 2016, resa pubblica qualche giorno fa conferma il mortifero trend, che dal 2010 la qualifica come prima causa certificata di morte degli embrioni, che ogni anno vede aumentare sempre di più il numero delle sue vittime, come è facilmente verificabile nella tabella sotto riportata.

 Si registra ancora un innalzamento dell’età media delle donne, che accedono alla fecondazione extra corporea (36,8 anni) ed il numero delle ultra quarantenni, che raggiunge il 35,2% (20,7% nel 2005 e 33,7% nel 2015). Di conseguenza aumenta il numero di cicli di trattamento a fresco sospesi prima del prelevo ovocitario (9,6% vs 9,2% del 2015) e dopo il prelievo (23,6% vs 22,1% del 2015). Indici questi dell’inopportunità di sottoporre al trattamento donne in cui già prima del suo inizio si può prevedere una riserva ovarica molto bassa ed una responsività ovarica ridotta allo stimolo ormonale!

La presenza di un’incidenza significativamente maggiore di esiti negativi della gravidanza nelle donne di età ≥ 40 anni (vedi figura prima riportata) e di una bassissima percentuale di embrioni trasferiti in utero che riescono a sopravvivere fino alla nascita (vedi tab. 3) dovrebbe far riflettere molto sia il Governo che i Parlamentari ed i Responsabili Regionali sull’opportunità di continuare a sperperare il poco denaro pubblico disponibile per cicli di trattamento infruttuosi e causa di tanta sofferenza sia fisica che psicologica in queste donne/famiglie.

Anche quest’anno i dati che si riferiscono alla fecondazione extracorporea eterologa sono molto incompleti ed insufficienti per offrire a chi legge un quadro della reale situazione e seguono criteri diversi da quelli utilizzati per la fecondazione extra corporea omologa.

Si nota una notevole discrepanza tra il numero di ovociti importati, che oscilla – come si legge a pag. 7 – tra i 2.727 crioconservatori utilizzti ed i 6.239 crioconservatori importati con le 378 comunicazioni e quello degli embrioni importati, che varia  tra i 1.500 crioconservatori provenienti da banca estera ed i 2.865 crioconservatori importati con le 116 comunicazioni.

Dalla tab. 3.5.12 a pag. 154 e dalla tab. 3.5.8 di pag. 151 risulterebbero trasferiti in utero 8.958 embrioni: se i criocontenitori contengono lo stesso numero di ovociti (6-7 per contenitore) ed embrioni (1-2/contenitore) – come riportato nella relazione dell’anno scorso – dove sono andati a finire i restanti ovociti ed embrioni dal momento che nella relazione non c’è alcun cenno? Per gli embrioni importati dall’estero che si afferma siano stati prodotti con almeno una cellula germinale (nella quasi totalità il liquido seminale) della coppia è previsto il test di paternità (o maternità)?

Nessun cenno c’è nella relazione sulle modalità di acquisione dei gameti e degli embrioni dai Centri esteri da parte delle Regioni Italiane considerato che non si possono acquistare né barattare sarebbe utile riferire!

Nel 2016 sono stati crioconservati 38.687 embrioni e ne sono stati scongelat 23.169: dalla tab. 3.4.16 pag. 113 si evince che dal 2005 al 2016 sono stati crioconservati 188.638 embrioni e ne sono stati scongelati 118.504. Poiché dal 2009 ogni anno cresce il numero totale degli embrioni crioconservati e negli ultimi tre anni in modo più evidente ci chiediamo che cosa pensa di fare il Governo ed il Parlamento per far prendere coscienza al momento del consenso informato che  tutti gli embrioni prodotti – anche quelli temporaneamente crioconservati – essendo loro figli come quelli già nati devono essere considerati e trattati come tali e non abbandonati a tempo indeterminato nell’azoto liquido come oggetti inutili.

Una campagna di informazione e di educazione sulla conoscenza della propria fertilità attraverso i Metodi Naturali potrebbe portare più risultati senza spese e senza rischi per la salute della donna e della coppia.​ ​

Aborto. La 194, una legge tradita?

 

29 Magg- Leggendo l’articolo di Maura Cossutta di sabato scorso, ABORTO. LA LEGGE 194, UNA LEGGE TRADITA (http://www.quotidianosanita.it/governo-e-parlamento/articolo.php?articolo_id=62224), sono rimasto stupito per il tono francamente demagogico dello stesso e per il contenuto che offende l’intelligenza dei lettori, che dovrebbero essere sprovveduti od accecati dall’ideologia per non riconoscere l’assurdità di tante affermazioni in esso contenute.
Analizziamoli una per una a cominciare dalla riduzione drastica del numero degli aborti volontari , definito come il risultato più straordinario della legge: la tanto sbandierata riduzione numerica del numero degli aborti volontari non è legata alla riduzione del fenomeno abortività volontaria, ma ad una sua trasformazione, specialmente nelle donne di età inferiore ai 20 anni che hanno fatto ricorso maggiormente alla pillola del giorno dopo in un primo tempo ed alla pillola dei 5 giorni dopo negli anni successivi. Dall’anno 2010 in poi, da quando il numero totale degli aborti volontari ex legge 194 sono diminuiti di anno in anno, alla riduzione numerica di questi aborti volontari ha contribuito anche la riduzione numerica delle donne in età fertile (da 13.961.645 del 2010 scese ai 12.945.219 del 2016!).
Se questi numeri aggiungiamo quelli dell’abortività dei cosiddetti contraccettivi maggiori il numero delle vittime dell’aborto volontario assume dimensioni catastrofiche!
La seconda affermazione – la legge 194 ha salvato le donne per aborto clandestino – è un patetico strascico di quanto affermato dai fautori della legalizzazione dell’aborto durante gli anni settanta (centinaia di migliaia di donne morte per aborto clandestino) e tuttora ripetuto in tante occasioni, nonostante già allora negli Annali di Statistiche Sanitarie (ISTAT vol. 1 -15) si potesse leggere che ad esempio nell’anno 1969 le donne di 15-45 anni morte per tutte le cause erano 10.760, di queste 550 morte per malattie della gravidanza e solo 43 per aborto. Non merita commento la seconda parte di questa affermazione perché non mi risulta che alcuna donna che ha abortito clandestinamente sia mai stata giudicata per reato contro l’integrità e la sanità della stirpe!
Continuare a scrivere che oggi l’obiezione di coscienza è il vero grimaldello per sabotare la legge dopo che nelle ultime due relazioni ministeriali è stato ampiamente dimostrato il contrario è pura demagogia, facilmente confutabile dando un rapido sguardo alle tabelle pubblicate nell’ultima relazione ministeriale al Parlamento sull’applicazione della legge 194/1978, di seguito riportate.
Anche nella situazione di maggior carico di lavoro settimanale (9ivg/sett.) registrata nel Molise, ciò non è un ostacolo né un carico fisico eccessivo per il ginecologo non obiettore , abituato a ben più gravose fatiche nella sua vita professionale (assistere 5-6 o più parti o fare come mi é capitato più di una volta 3-4 tagli cesarei in una notte!).
Purtroppo la coscienza di molti medici e del personale sanitario, che hanno fatto obiezione di coscienza non è stata
sufficientemente formata ed informata per far loro conoscere quali sono i loro diritti di obiettori di coscienza, che l’art. 9 della legge 194 specifica “L’obiezione di coscienza esonera il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie dal compimento delle procedure e delle attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione della gravidanza,e non dall’assistenza antecedente e conseguente all’intervento.”
Tra le procedure specificamente e necessariamente dirette a determinare l’ivg c’è il rilascio dell’attestato, per cui un medico obiettore deve rifiutarsi di rilasciarlo se non vuole cooperare alla uccisione di una vita umana innocente ed indifesa. La stessa cosa vale per qualunque analisi di laboratorio, ecg od altro esame o visita specificatamente richiesta ad una donna per poter essere sottoposta all’aborto volontario. E lo stesso vale anche per il farmacista in particolare quello ospedaliero nel dispensare i farmaci specificatamente e necessariamente diretti a provocare l’aborto volontario.
Per quanto riguarda gli aborti tardivi c’è in alcuni ginecologi non obiettori il malcostume di non assicurare la loro presenza in reparto per tutta la durata del travaglio di parto abortivo, ma di iniziare l’induzione del travaglio abortivo e poi andare via. A norma di legge l’aborto è definito come la morte e/o l’espulsione del feto, per cui è compito del medico e del personale sanitario non obiettore assistere il travaglio finché non si verifichino questi eventi.
L’assistenza antecedente e conseguente all’intervento era una norma legata al fatto che nei primi anni le donne venivano ricoverate nei reparti di ostetricia, da anni invece ci sono dei servizi di Day Surgey per l’aborto volontario, nei quali dovrebbe lavorare solo personale non obiettore. Negli aborti tardivi c’è ancora il ricovero nei reparti di ostetricia per cui si può verificare il bisogno di assistenza antecedente e conseguente all’intervento, ma non di partecipazione all’induzione del travaglio abortivo e all’assistenza del travaglio abortivo finchè non avviene la morte e/o l’espulsione del bambino, dovere esclusivo del medico non obiettore e del personale ostetrico ed infermieristico non obiettore. In caso di pericolo per la vita della donna qualsiasi medico sa che è suo dovere intervenire in qualsiasi momento per prestare il suo soccorso alla donna.
Ma la realtà è pesante: solo 390 su 654 strutture dotate di reparti di ostetricia e ginecologia effettuano interruzioni di gravidanza”, che questa frase sia stata scritta da un medico mi fa pensare che non abbia mai frequentato un reparto di ostetricia e ginecologia, altrimenti non l’avrebbe scritta perché saprebbe bene che è ben diverso ed è richiesto un maggior numero di punti nascita per poter assistere i 465.551 nati vivi ed i 61.580 aborti spontanei, che non è possibile programmare e prevedere rispetto agli 84.926 aborti volontari, che nel 94,7% erano programmabili ed eseguibili in D.S!
Che l’aborto farmacologico sia somministrato in pochi ospedali è un bene per le donne, perché – come è già stato sperimentato in Italia nel 2014 con le due morti (1 a Torino e 1 a Nocera Inferiore) – il suo profilo di sicurezza è inferiore rispetto al metodo chirurgico, con
una mortalità almeno dieci volte maggiore, a parità di epoca gestazionale. Alcuni eventi avversi associati all’impiego dell’aborto medico esordiscono a distanza di tempo dalla procedura, insorgendo subdolamente e progredendo rapidamente verso l’exitus. ……”(PROMED GALILEO- Aborto farmacologico mediante
mifepristone e misoprostol – Italian Journal of Gynaecology & Obstretics , Gennaio-Marzo 2008 – vol. 20 n. 1 pagg. 43-68) e perché dal punto di vista psicologico è più traumatico perché l’espulsione del bambino assieme al materiale ovulare può avvenire in qualsiasi momento a casa, anche al cospetto di altri figli o familiari, o al bagno.
Che informazione ed educazione alla contraccezione non sia la strada per prevenire l’aborto lo hanno sperimentato in tutto il mondo e numerosi sono i lavori che lo dimostrano, stupisce che l’autrice dell’articolo continui ad ignorarlo. Cito solo alcuni articoli:
Nella vicina Francia, che fa registrare una diffusione quasi a tappeto della contraccezione (il 91% delle donne in età fertile dichiara di usare contraccettivi) gli Autori dello studio realizzato dallo INED (Agenzia Nazionale Studi Demografici), che correla l’aborto volontario con l’uso della contraccezione (Magali Mazuy, Laurent Toulemon ed Eloidie Baril) affermano: “Dal 1970 la diffusione di efficaci metodi di contraccezione ha permesso la diminuzione di frequenza di gravidanze non desiderate, ma quando si verificavano il ricorso all’aborto aumentava, fino a quando il numero totale di interruzioni di gravidanza non è più sceso”.
Il periodico dell’Alan Guttmacher Institute for Planned Parenthood Federation of America, istituzione statunitense che promuove campagne a favore della contraccezione e dell’aborto, ha riconosciuto che “in sei paesi come Cuba, Danimarca, Paesi Bassi, Stati Uniti, Singapore e Repubblica di Corea il numero degli aborti e l’uso della contraccezione sono aumentati in modo simultaneo” (C. Marston, J. Cleland – Relationships between contaception and abortion: a rewiev of the evidence in “International Family Planning Perspectives” Mar 2003, 29 (1), 6-3).
Da altri studi si evince che l’aborto è un naturale prolungamento della contraccezione:
  1. Su 315 donne nelle quali il metodo contraccettivo ha fallito il 52% ha chiesto l’aborto (V. Rash et al,2002)
  1. Su 3516 donne danesi il 51% che usa metodi contraccettivi rifiutano una gravidanza non pianificata e chiedono l’aborto (Rash et al, 2001)
  1. La contraccezione non evita il ricorso allo aborto chirurgico (L.T. Strauss et al, 2002).
 Anche altri fautori della contraccezione di recente sono stati costretti a riconoscere che la pillola, considerata il più efficace contraccettivo, in effetti ha un’efficacia solo del 91% e che il 24% (circa 15.000) delle 60.952 donne che si sono rivolte per abortire nel 2016 al British Pregnancy Advisory Service (Bpas), che riunisce circa 40 cliniche inglesi e che fornisce informazioni sulla “salute sessuale” e assistenza alle donne che decidono di abortire, usavano contraccettivi ormonali o iud, ritenuti i più efficaci contraccettivi, e che oltre il 51% di queste donne usavano un contraccettivo. (Women cannot control fertility through contraception alone, says British Pregnancy Advisory Service The Farmaceutycal Journal/l11 JUL 2017).
Questi studi sono un’ulteriore conferma di quanto Ch. Tietze affermava nel 1989 «Dato che gli aborti e la contraccezione comportano l’obiettivo comune di evitare le nascite non desiderate e nascite che avrebbero avuto luogo in un momento inopportuno, esiste un’alta correlazione tra esperienza abortiva ed esperienza contraccettiva nelle popolazioni nelle quali si ha accesso tanto alla contraccezione come all’aborto, ed in quelle in cui le coppie hanno tentato di regolare il numero di figli e la distanza tra loro. In queste società le donne che hanno utilizzato contraccettivi si sottopongono più probabilmente ad un aborto rispetto a quelle che non li utilizzano. L’aborto da solo è un metodo inefficace di regolazione della fertilità, ma incrementa la sua efficacia nella misura in cui l’estensione dell’uso di metodi contraccettivi gli consente la funzione di misura di sicurezza».
La cosa che più mi rattrista è che nonostante l’evidenza dei fatti si continui a credere che l’aborto volontario è una conquista delle donne, mentre in effetti per loro continua ad essere un vero dramma di cui si rendono conto a distanza di un tempo più o meno lungo dopo averlo fatto per le conseguenze fisiche ed ancor più psicologiche cui inevitabilmente vanno incontro talora assieme ai loro più stretti familiari e della cui causa spesso non si rendono conto perché i consultori familiari tanto solleciti nel rilasciare gli attestati per abortire non si preoccupano minimamente di indagare sulle conseguenze psichiche dell’aborto, di cui esiste un’ampia letteratura mondiale.
Angelo Francesco Filardo – ginecologo
Foligno, 28 maggio 2018

 

Per andare al sito clicca il seguente link : http://www.quotidianosanita.it/lettere-al-direttore/articolo.php?articolo_id=62297

 

 

Informare le donne è un dovere della Scienza e dello Stato

 

22 APRILE 2018

 

Gentile Direttore,

 

ho letto le affermazioni che l’Associazione Luca Coscioni insieme ad altri hanno fatto sulle asserite bugie dell’Associazione Pro Vita, sui rischi e sui danni che l’aborto volontario può causare alla salute delle donne. Premetto che opero come ginecologo da quasi 40 anni e quindi ho elementi esperienziali diretti sul vissuto fisico e psicologico di donne che hanno scelto l’interruzione volontaria di gravidanza e di donne, di coppie che hanno avuto aborti spontanei ripetuti (più di 500 coppie).

Il supporto psicoterapeutico, dopo aborti spontanei, aumenta il successo con figlio in braccio nelle successive gravidanze dal 32% al 72%. (Noia et al – Restoring gestational capacity in women with recurrent spontaneous miscarriages after clinical psychotherapy treatment – International Journal of Gynecology and Obstetrics (2009).

Per quanto riguarda il primo aspetto (complicazioni fisiche) constato che Gallo, Parachini e Pompili ammettano che anche l’aborto, come qualsiasi procedura medica e chirurgica, sia gravata da possibili complicazioni. Però sarebbe opportuno che alla donna che va a chiedere di abortire, oltre a parlarle in maniera generica di complicanze, qualcuno spiegasse loro queste complicanze, cui possono andare incontro, a partire da quelle più comuni a quelle più rare (la morte), come avviene sul bugiardino di qualsiasi farmaco acquistato in farmacia. E come ProVita ha fatto nel libretto.

Inoltre, nella relazione del 2015 (relativa ai dati del 2013) il Ministro della Salute scrive: “Dal 2013 il modello D12/Istat…Tuttavia, molte Regioni non hanno ancora aggiornato i loro sistemi di raccolta dati per poter riportare l’informazione in maniera completa e non è quindi possibile analizzare i risultati. Si raccomanda le Regioni di procedere alle modifiche necessarie nel più breve tempo possibile”.Questa stessa frase si ritrova anche nell’anno 2017 (4 anni dopo) per cui si può desumere che i numeri dei dati relativi alle complicazioni siano effettivamente sottostimati.

Tuttavia se assumiamo per l’anno 2014 la prevalenza di 7.4 per 1.000 IVG moltiplicando il numero delle complicazioni per il numero totale degli aborti volontari per

quell’anno, otteniamo la cifra considerevole di 721 pazienti con complicazioni da aborto volontario. Sarebbe quindi importante, per la piena consapevolezza della donna, riportare e informarla di questi dati.

Sul piano della capacità gestazionale, la rivista Human Reproduction nel 2012, riferisce che le donne con 3 o più aborti precedenti avevano probabilità 3 volte più alta di partorire un bambino prematuro. Per quanto riguarda le complicazioni relative alla mortalità materna, il Ministero della Salute afferma anche: “Si ricorda che purtroppo l’interruzione volontaria di gravidanza, come tutti gli interventi sanitari e il parto, non è esente da rischio di complicanze, fino al possibile decesso”. (Vedi relazione Ministero Salute, dati 2016 a pag. 44). Ora, visto che anche il Ministero della Salute ammette che l’aborto può provocare il decesso della donna, sarebbe opportuno che questa informazione non sia negata alla donna che chiede di abortire. Vediamo qualche cifra della mortalità materna legata all’aborto volontario nel mondo.

Secondo i dati del World Abortion Policies del 2011, delle Nazioni Unite, nei Paesi dove la legislazione dell’aborto è più restrittiva vi sono prevalenze di mortalità materne molto basse (Mauritius 15 morti su 100.000, Cile 16 morti per 100.000 aborti) mentre nei Paesi dove la legislazione è più liberale (Sud Africa 400 morti su 100.00, Nepal 830 su 100.000) le cifre di mortalità materne legate all’aborto sono molto alte. Per l’aborto farmacologico, poi, il numero delle morti da RU486 segnalate raggiunge la cifra di 27 come hanno pubblicato diversi autori tra cui Khoo et al Journal of Obstetrics and Gynaecology (2013).

Credo che ce ne sia abbastanza per affermare l’obbligo di informazione.

Sul secondo punto (rapporto aborto/maggior prevalenza di tumore al seno) è vero che c’è una certa letteratura che nega questa correlazione ma, è anche vero che ne esiste un’altra abbondante che conferma che la gravidanza a termine protegge dall’incidenza dei tumori al seno. Un lavoro recente pubblicato su Cancer Causes and Control (2013) evidenza che l’aborto indotto è significativamente associato al rischio di cancro al seno. In particolare: un aborto indotto aumenta il rischio di cancro al seno del 44%, due aborti del 76% e tre aborti dell’89%.La popolazione cinese è particolarmente adatta a queste meta analisi sia per l’enorme prevalenza di aborto volontario, sia per la numerosità della popolazione studiata (A meta-analysis of the association between induced abortion and breast cancer risk among Chinese females. Huang Y et Al. Cancer Causes & Control, 2013).

Gli studi della Lanfranchi sulla suscettibilità delle mammelle a istotipo 3 e 4 che maturano dopo 32 settimane in forme protettive dal cancro al seno, sono dati accettati da moltissimi ricercatori e, trovano fondamento scientifico nell’evoluzione istologica e funzionale delle cellule mammarie durante la gravidanza; anzi, aver avuto gravidanze a termine, fa parte dei punteggi di protezione insieme all’allattamento e il menarca dopo 10 anni. Joel Brind, professore di biologia e endocrinologia al Baruch College di New York e co-fondatore del Breast Cancer Prevention Institute, ha evidenziato sul Journal of Epidemiol Community Health una «probabilità del 30% in più di sviluppare cancro al seno» per le donne che hanno avuto aborti indotti.

Il terzo aspetto, che riguarda l’aborto volontario e la salute mentale delle donne ha bisogno di una piccola premessa. Non c’è peggior servizio all’umanità, qualunque sia la fede di appartenenza, o il suo credo politico, o la sua visione filosofica e antropologica di quella pseudo-cultura scientifica che, per far prevalere la sua convinzione, cerca di silenziare e di sminuire l’importanza di tutto il patrimonio di conoscenza sulla verità della persona umana, sull’essere umano, unico e irripetibile che è ciascuno di noi. Ognuno di noi è stato un embrione e la scienza vera, veramente libera da influenze di lobbies e convinzioni anti umane lo ha sancito da molto tempo.

Allora bisognerebbe chiedersi: come è possibile che tutta questa dimensione simbiotica (il feto è addirittura medico della madre!), quando viene interrotta, possa non comportare conseguenze sul piano psicologico e fisico? Noi tutti soffriamo quando perdiamo una persona cara, fisicamente e psicologicamente: come è possibile che non si soffra quando si perde un figlio? Noi tutti sappiamo quanta solitudine del cuore abbiamo, quanta tristezza si verifica dopo un lutto. E perché la natura umana dovrebbe fare un distinguo in base ai centimetri e ai grammi del figlio che si perde? Infatti, la natura non fa questa distinzione: il tempo di elaborare la perdita di un embrione al 2° mese è sovrapponibile al tempo di elaborare la perdita di un uomo adulto. (Noia et al – International Journal of Gynecology and Obstetrics (2009).

Diventa, quindi, poco credibile affermare che la perdita di un figlio, qualunque siano le sue dimensioni sia irrilevante per la salute della donna, soprattutto se questo evento non avviene naturalmente ma come una precisa scelta volontaria della madre verso il figlio. Affermare che, sulla base di studi datati e controversi, non ci siano problematiche sulla salute psicologica delle donne, dopo un aborto volontario, è quanto di più anti scientifico si possa dire. A tal proposito elenco alcuni recentissime pubblicazioni (delle 50 selezionate) che riconoscono questa problematica di forte impatto sulla salute mentale della donna:
• Curley M & Johnston C (2013), The characteristics and severity of psychological distress after abortion among university students, Journal of Behavioral Health Services & Research 40(3):279-293.
• Olsson CA, Horwill E, Moore E, Eisenberg ME, Venn A et al. (2013), Social and emotional adjustment following early pregnancy in young Australian women: a comparison of those who terminate, miscarry, or complete pregnancy, J Adolesc Health 54(6):698-703.
• Sullins DP (2016), Abortion, substance abuse and mental health in early adulthood: Thirteen-year longitudinal evidence from the United States, SAGE Open Med 4:1-11.

Infine in una revisione meta analitica, il Dr Greg Pike, (Founding Director of Adelaide Centre for Bioethics and Culture, Australia, ABORTION AND WOMEN’S HEALTH An evidence-based review for medical professionals of the impact of abortion on women’s physical and mental health, April 2017) concludeva che le donne hanno diritto di essere informate di tutti i rischi associati all’aborto volontario e gli operatori sanitari hanno l’obbligo di fornire tutte le informazioni rilevanti.

In conclusione, prima di affermare che Pro Vita ha riportato dati non scientifici, bisognerebbe essere più prudenti e prima di dare del bugiardo a tantissimi gruppi nel mondo di eminenti scienziati (Pro Vita ha riportato quello che questi ricercatori hanno pubblicato), bisognerebbe essere più rispettosi e onesti intellettualmente. La scienza è veramente libera quando è vera e se vuole fare un servizio alle donne le deve informare per prevenire i danni fisici e psicologici. La salute delle donne è un bene prezioso da salvaguardare così come la capacità di procreare ma, espropriare le donne della verità di informazione equivale a rubare la loro salute, il loro corpo e il loro futuro, e soprattutto la loro dignità. Rubare beni materiali è grave ma, rubare l’anima a la dignità di una persona è un delitto contro l’umanità, tutta l’umanità.

Giuseppe Noia
Direttore Hospice Perinatale – Centro per le Cure Palliative Prenatali Policlinico Gemelli, Roma
Presidente A.I.G.O.C. (Associazione Italiana Ginecologi Ostetrici Cattolici) 

A Macomer “L’etica incontra la scienza”

28-10-15

di Giuseppe Manunta

L’Associazione Italiana Ginecologi ed Ostetrici Cattolici organizza a Macomer, il prossimo 7 Novembre, nell’Auditorium delle ex Caserme mura un incontro della Scuola itinerante AIGOC, intitolato “L’etica incontra la scienza. La buona cura per la salute della madre e del nascituro”. Il nostro tempo cavalca vertiginosamente la fretta del “tutto e subito”, e al detto “Un uomo vale tanto quanto pensa” si è sostituito il detto “Un uomo vale tanto quanto appare”.
Anche la scienza ha risentito di questa mutazione antropologica, dove l’uomo virtuale dell’apparenza si è sostituito alla verità dell’uomo, all’uomo reale. Il convegno mira a provocare riflessioni sul “talento del tempo” che abbiamo ricevuto e di cui dobbiamo rendere conto e sul dono inestimabile della vita.
La finalità è quella che, coniugando nel “giardino dei gentili” le ragioni della ragione scientifica, giuridica ed etica si possa riflettere sulla verità della persona umana, sulla sua preziosità e bellezza con onestà intellettuale contro approssimazioni e falsità ideologiche e scientifiche che sono figlie della cecità del cuore. Confluire su percorsi che portano ad invertire questa realtà di decadenza scientifica, culturale ed umana significa aprire gli occhi della mente e del cuore. In tal modo i valori più belli come il dono della vita, la giustizia, la libertà di coscienza, la solidarietà e la verità sull’uomo e su tutto l’uomo diventano raggi di luce che sanano le ferite dell’uomo del nostro tempo e si trasformano in feritoie, attraverso cui la conoscenza ci fa assaporare il servizio alla “grande bellezza”: la persona umana.
Il Corso è rivolto a Specialisti in Ginecologia ed Ostetricia, Medici di Medicina Generale, Ostetriche e Infermieri, Operatori della Pastorale Sanitaria, Famiglie. La quota d’iscrizione al Convegno è di 30,00 euro per i medici e 10,00 euro per le famiglie. L’iscrizione deve essere completata preferibilmente entro il 25 ottobre 2015 compilando il modulo d’iscrizione al corso scaricabile dal sito: www.aigoc.it . La stessa si potrà effettuare anche direttamente in sede, il giorno del convegno.

Per visualizzare la Brochure del convegno CLICCA QUI      MACOMER NOV 15 BROCHURE

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